Biennale di Venezia, Pietrangelo Buttafuoco feticcio della destra

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Invece di festeggiare per avere infranto “un altro tetto di cristallo”, i politici di Fdi dovrebbero ragionare su cosa è la cultura oggi, in un‘epoca dominata dalle piattaforme e dai socialmedia, dove non ha più senso parlare di egemonia culturale

Pietrangelo Buttafuoco è stato nominato prossimo presidente della Biennale di Venezia dal Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano.
Raffaele Speranzon, vicecapogruppo vicario dei senatori di Fratelli d’Italia, sostiene che con questa nomina “è stato infranto un altro tetto di cristallo”, sottolineando come questa prestigiosa istituzione sia stata sino ad ora appannaggio esclusivo della sinistra per una occupazione di poltrone per appartenenza e non per merito. Affermazione profondamente divisiva, quella del senatore Speranzon, che immagina le nomine nel campo culturale come una dimostrazione di forza e di pura sostituzione di rappresentanti simbolici e di parte politica.

Raffaele Speranzon (foto Ansa)
Raffaele Speranzon (foto Ansa)

Ma siamo ancora lì? La Biennale è stata presieduta negli anni da prestigiose figure, certamente non classificabili secondo un’etichetta di partito anche se politicamente consapevoli (Paolo Baratta ad esempio) e non credo serva molto al futuro presidente essere inquadrato in una parte piuttosto anacronistica rispetto ai tempi che stiamo vivendo.

In una fase di grande transizione politica, come quella che stiamo attraversando, è tornato di moda parlare di cultura e del suo ruolo nella nostra società. Si sta discutendo sull’attualità o meno del concetto di egemonia culturale, in coincidenza con il ricambio di diverse figure della gestione di importanti istituzioni culturali pubbliche. Marcello Veneziani ha dichiarato che non ha più senso parlare oggi di egemonia culturale, e, in un brillante articolo del 3 ottobre scorso su Repubblica, (‘L’egemonia perduta nell’era social’) Roberto Esposito sostiene che “di fronte al potere delle grandi piattaforme e dell’intelligenza artificiale, illudersi di influenzare con i libri la politica appare un’utopia”.
Dalla destra culturale è stato scomodato anche Antonio Gramsci e il suo concetto di egemonia culturale, che presupponeva che, per essere tale, questa necessita di “apparati egemonici”.
Ma questo è stato ampiamente superato dalla storia e bisognerebbe piuttosto ricordare quanto il grande pensatore sardo scrive sul ruolo degli intellettuali: “creare una nuova cultura non significa solo fare individualmente delle scoperte “originali”, significa anche e specialmente diffondere criticamente delle verità già scoperte, “socializzarle” per così dire e pertanto farle diventare basi di azioni vitali, elemento di coordinamento e di ordine intellettuale e morale” (Quaderni dal carcere, 11).

Paolo Baratta (Foto Ansa)

Qualche decennio più tardi rispetto a Gramsci, Norberto Bobbio pubblica un libro illuminante ancora oggi: ‘Politica e cultura’ (Einaudi, 1955, nuova edizione 2005). Libro di grandissima attualità e insegnamento, che dovrebbe essere letto o riletto alla luce di quanto stiamo vivendo.
Bobbio utilizza il pensiero di Gramsci e lo supera, anche contro Gramsci stesso. “Il compito degli uomini di cultura è più che mai oggi quello di seminare dubbi, non già di raccogliere certezze…. Cultura significa misura, ponderatezza, circospezione: valutare tutti gli argomenti prima di decidere, e non pronunciarsi e non decidere mai a guisa di oracolo dal quale dipenda, in modo irrevocabile, una scelta perentoria e definitiva”.
Il grande filosofo torinese invita l’intellettuale a essere parte dell’azione politica e sociale, ma altrettanto ad essere indipendente, autonomo. “Al di là di entrare nella lotta, c’è, per l’uomo di cultura, il diritto di non accettare i termini della lotta così come sono posti, di discuterli, di sottoporli alla critica della ragione…..Comprendere e valutare realisticamente la posizione e le ragioni dell’avversario (e talvolta è avversario tutto il pensiero passato) significa appunto essersi liberati dalla prigionia delle ideologie (nel senso deteriore, di cieco fanatismo ideologico), cioè porsi da un punto di vista ‘critico’, l’unico fecondo nella ricerca scientifica”.
Non sarebbe utile riprendere e usare la saggezza e la densità del pensiero di Bobbio, certamente un grandissimo intellettuale di lucida e libera profondità di giudizio, per tracciare un cammino più costruttivo e proficuo?

Riprendendo quanto scritto da Esposito, proviamo quindi a porci da un altro punto di vista, quello della scienza, il cui metodo è proprio quello esposto da Bobbio e approfittiamo del pensiero di un grande scienziato, Luigi Luca Cavalli Sforza, che ha lavorato tutta la vita sul rapporto natura/cultura, o anche biologia/ambiente.
In un testo manifesto del suo pensiero (‘L’evoluzione della cultura’, Codice Edizioni, 2004, 2019) Cavalli Sforza scrive: “la parola cultura ha molti significati. Qui vogliamo fare uso di quello più generale: l‘accumulo globale di conoscenze e innovazioni, derivante dalla somma di contributi individuali trasmessi attraverso le generazioni e diffusi al nostro gruppo sociale, che influenza e cambia continuamente la nostra vita”. E ancora: ”vi sono differenze fondamentali tra l’evoluzione biologica e quella culturale, e i due meccanismi vanno tenuti perfettamente distinti. Tuttavia essi possono influenzarsi a vicenda e, per questa ragione, si parla anche di coevoluzione-biologico-culturale”.
Molti scienziati interpretano oggi in modo sempre nuovo la sfera della cultura, nei laboratori, negli esperimenti, nelle relazioni crescenti con la dimensione sociale.

La cultura sta oggi più nelle dominanti piattaforme tecnologiche che sui banchi di scuola o sui media tradizionali. E penso sia utile quindi che il dibattito sulla cultura non si riduca ad una sterile contrapposizione di campo, ma vada invece coltivato alla luce delle tante espressioni creative del nostro Paese (e non solo) e ripreso un impegno per rafforzare le nostre strutture formative di base, a cominciare dalla scuola, e sprigionare i tanti talenti che possono emergere, offrendo loro condizioni di ricerca e di lavoro adeguate.

Certo non basta. Di fronte alla prepotente e sempre più pervasiva forza delle piattaforme tecnologiche, dell’affascinante quanto inquietante diffusione dell’Intelligenza Artificiale, della proliferazione di strumenti digitali, protesi del nostro corpo e della nostra vita, siamo chiamati a essere più consapevoli e informati, a creare le condizioni perché lo sviluppo che ci attende sia governato e non subìto. E quindi a studiare e parlare per esempio di etica dell’innovazione o di gestione dei dati (anche personali), ma anche di straordinarie opportunità di miglioramento di vita.
Questo forse è più interessante che non la preoccupazione di infrangere tetti di cristallo.

L’elenco dei presidenti della Biennale di Venezia dagli anni ’30

1932 – 1943 Giuseppe Volpi di Misurata
1945 – 1953 Giovanni Ponti
1954 Angelo Spanio
1955 – 1957 Massimo Alesi
1958 – 1960 Giovanni Ponti (commissario straordinario)
1961 – 1963 Italo Siciliano
1964 – 1966 Mario Marcazzan
1967 – 1968 Giovanni Favaretto Fisca
1969 Gian Alberto Dall’Acqua (commissario straordinario)
1970 – 1972 Filippo Longo (commissario straordinario)
1973 – 1978 Carlo Ripa di Meana
1979 – 1982 Giuseppe Galasso
1983 – 1992 Paolo Portoghesi
1993 – 1996 Gian Luigi Rondi
1997 Lino Miccichè
1998 – 2002 Paolo Baratta
2002 – 2003 Franco Bernabè
2004 – 2007 Davide Croff
2008 – 2020 Paolo Baratta