Con l’allargamento delle Zone economiche speciali, il Mezzogiorno ha una nuova opportunità di sviluppo. Ora serve una ‘lobby di sistema’ a favore dell’attrattività del Meridione
LOBBY D’AUTORE – Prima Comunicazione, Settembre 2023
Non c’è nulla di impossibile, in politica e nelle politiche. Perché se gli economisti d’impostazione liberista la chiedevano da decenni, insieme a numerosi imprenditori, gli esperti di settore la consideravano un’utopia in quanto contraria alle regole Ue. E invece – a sorpresa – la trasformazione del Mezzogiorno in una ‘zona franca’ è diventata realtà mediante il Decreto Sud del governo, che ha deciso di estendere dal 2024 le precedenti otto piccole (e inutili) Zes, zone economiche speciali all’intero territorio del Mezzogiorno. “Una grande opportunità per il Mezzogiorno”, secondo il ministro degli Affari europei e del Sud Raffaele Fitto, padre della misura. La promessa è meno tasse e meno burocrazia per attrarre nuovi investimenti.
Diventerà lo start della ripartenza del Sud? Impossibile prevedere da quale parte penderà la bilancia. Su un piatto ci saranno 4,5 miliardi di crediti d’imposta per tre anni offerti dal governo a vantaggio di nuovi progetti imprenditoriali, uno sportello digitale unico per ottenere tutte le autorizzazioni, tempi di risposta pubblici molto rapidi. Sull’altro piatto della bilancia rimarranno le mille emergenze quotidiane dei tanti Sud di cui è composto il Sud.
Ma se per valutare gli esiti dovremo attendere qualche anno, oggi possiamo registrare con soddisfazione un ‘cambio di paradigma’ del governo Meloni rispetto al passato. La questione meridionale è stata gestita per decenni con una overdose di ‘statalismo’ e di ‘assistenzialismo’ – tra fondi pubblici italiani ed europei riversati a pioggia sul Mezzogiorno e iniziative industriali senza senso e senza contesto calate da Roma nei territori del Sud – nel presupposto di una presunta minorità dei cittadini del Sud. Ora il governo decide di modificare radicalmente i termini della scommessa sul futuro del Mezzogiorno, seguendo una strada che ha portato risultati eccellenti in altre aree d’Europa: puntare sugli investimenti privati, cercando di attrarli con incentivi fiscali e burocratici in grado di ‘compensare’ i deficit di competitività che caratterizzano molte aree del Sud. A rendere non facile questa nuova strada c’è tuttavia un macigno: la sostanziale assenza di competenze di project management delle pubbliche amministrazioni locali, su cui peraltro ha acceso un faro nell’ultimo anno la gestione dei bandi e delle risorse del Pnrr. Il Decreto Sud salta il problema con due misure: affidando l’interlocuzione con gli investitori per autorizzare i progetti di investimento a uno sportello unico digitale gestito direttamente da Palazzo Chigi, e prevedendo l’assunzione a tempo indeterminato di 2.200 persone con l’obiettivo di rafforzare la capacità amministrativa a livello locale. Quest’ultima mossa è un segnale molto positivo, soprattutto se sarà l’inizio di una più ampia strategia di investimento dello Stato sulle competenze di dirigenti e funzionari pubblici: come dimostra la vicenda del Pnrr, decenni di politiche di gestione del personale delle Pa fondate su blocco dei concorsi e blocco del turnover hanno impoverito e invecchiato le pubbliche amministrazioni fino a renderle ‘inservibili’.