Una proposta per sfatare l’idea che ‘pubblico’ è sinonimo di abbandono.
A scuola, primo manifesto monumentale dello Stato, attraverso l’adozione di un banco i ragazzi potrebbero imparare a rispettare il bene pubblico
COMUNICAZIONE POLITICA – Prima Comunicazione, Settembre 2023
Sono circa 30 anni e più che scrivo di questa idea e per questa ragione mi scuso in via preventiva nei confronti di quelle due persone che avranno già incontrato queste mie riflessioni in passato. Senza alcun senso di vendetta o denuncia verso l’ora di religione – l’ho incontrata dalle elementari all’ultimo anno di liceo – ero rimasto colpito dall’assenza dell’ora di educazione civica. Non che l’ora non fosse prevista, ma veniva assorbita da altre materie che la professoressa competente preferiva ridistribuire nell’urgenza di completare il programma. Quello che mi colpiva non era la disparità di trattamento tra le due materie, ma il suicidio sostanziale con il quale si costruiva il futuro del Paese.
Ho sempre frequentato scuole pubbliche, quindi pagate con lo sforzo dei genitori e le loro fatiche. Prendiamo in considerazione la prima scuola dell’obbligo, quella rivolta ai bambini di sei anni. La scuola, insieme alla famiglia, è il luogo principale per crescere e formare la persona e in quei luoghi dove la società è più debole e i problemi sono maggiori dovrebbe rappresentare la principale ancora di salvezza o di opportunità per cambiare le carte del proprio destino. Si tratta di un’occasione, la prima e per molti l’unica, di incontrare e definire parole nuove: Stato, pubblico e cittadino.
Se riflettiamo, infatti, le famiglie aiutano a conoscere il privato, la proprietà e la tutela del proprio bene. Anche nelle condizioni meno agiate le nostre case rincorrono un decoro (se un bambino prova a esprimere la sua creatività sulle pareti di casa, il monito, la sberla o la punizione credo non tardino a manifestarsi). Questo monitoraggio e tutela però si arresta spesso ai confini dell’appartamento. Arrivati a scuola tutto si ribalta e accade che quel luogo, il primo manifesto plastico e monumentale dello Stato, insegna a disprezzare ciò che è pubblico, mostrandolo orfano e instillando l’idea che ciò che è di tutti, ciò che non è mio, è di nessuno. L’immagine dell’edificio che ospita i bambini, le classi e tutto l’universo di elementi che li accolgono, concorrono a descrivere un’idea che si stamperà viva nel loro immaginario: pubblico è sinonimo di abbandono.
Per questo in un’epoca generosa d’impegni, proclami e parole alate, ma fragile e incerta di soluzioni, molti anni fa avevo immaginato di definire un luogo facile, evidente e simbolico intorno al quale spiegare lo Stato e la nostra partecipazione allo stesso e avevo dato a questa campagna il nome di ‘Adotta il banco’. Il banco sarebbe diventato così il perimetro delle responsabilità, il contratto del cittadino-studente con il suo formatore, l’accordo per descrivere la sua partecipazione individuale all’uso e alla tutela del pubblico. Cos’è lo Stato? La superficie di fòrmica acquistata con i soldi dei genitori. Cos’è l’educazione civica? L’insieme dei modi per tutelare e proteggere quel bene e consegnarlo a chi verrà dopo di te ed è l’ora in cui lo Stato spiega, mostra se stesso e le sue regole ai nuovi cittadini.
L’idea di Stato e di pubblico si sarebbe sovrapposta a quel banco, che onorato di una targhetta con il nome del suo ‘conduttore e titolare’, avrebbe descritto un’efficace sintesi del rapporto tra il giovane cittadino e il Paese che gli ha consegnato quel bene. Giacomo avrebbe ricevuto il suo banco in prima elementare e nella difesa, tutela, pulizia di quel pezzo di legno sarebbe nato il suo rapporto con lo Stato, il suo voto di educazione civica, il rispetto dell’oggetto ricevuto in cambio di quello che un giorno avrebbe capito essere stato frutto di un’altra alleanza: quel banco era in parte suo; lo avevano acquistato i suoi genitori con le tasse versate alla nazione. E alla fine dell’anno Giacomo, con i suoi compagni, avrebbe onorato il secondo patto: riconsegnare il bene pubblico collettivo, la classe, nelle condizioni in cui gli era stata affidata. Si trattava di una piccola idea, di un minimo gesto capace, speravo, di produrre massimi effetti. Continuerò a provarci.