Lavoratori autonomi, dalla maledizione al riscatto?

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L’Italia è prima in Ue per numero di professionisti. La cui produttività potrebbe ora essere rivalutata grazie a nuovi strumenti di analisi, più adatti a questo mondo

LOBBY D’AUTORE – Prima Comunicazione, Settembre 2024

L’Italia è il regno del lavoro autonomo, rispetto agli altri Paesi europei. Ma questa caratteristica distintiva è un elemento di debolezza o un asset del nostro Paese?

“Il lavoro autonomo è una realtà straordinaria, che richiede però maggiore attenzione”, ha dichiarato il presidente del Cnel Renato Brunetta, che sta rivitalizzando il ruolo dell’organismo costituzionale. “È un serbatoio spesso poco conosciuto ed evocato come un’anomalia, come una debolezza”, ha spiegato Brunetta. “Ma non è così. Le potenzialità sono enormi. Se l’Italia è indicata come un Paese a bassa produttività, a torto o a ragione, è anche perché per il settore autonomo e delle piccole imprese risulta a bassissima produttività, perché è statisticamente poco rilevabile. Serve maggiore capacità di analisi, valutazione e monitoraggio”.

Mi ha molto colpito questa posizione di Brunetta, nell’ambito di una recente iniziativa della Consulta sul lavoro autonomo e le professioni del Cnel, perché potrebbe segnare un cambio di paradigma nella percezione pubblica del lavoro autonomo.

Fino a ieri, infatti, la risposta al quesito iniziale sarebbe stata scontata: secondo la narrazione dominante, il mondo del lavoro autonomo è il regno dell’evasione fiscale, le partite Iva individuali rappresentano il simbolo della frammentazione di un sistema produttivo inadeguato alle sfide globali, gli autonomi vivono alle spalle dei lavoratori dipendenti. Ma negli ultimi anni qualcosa è cambiato. Prima l’importante vantaggio fiscale concesso agli autonomi con l’introduzione della flat tax a loro dedicata, oggi in vigore fino a 85mila euro di reddito, poi i successivi e continui tentativi di alzare l’asticella. E più in generale una nuova attenzione politica, soprattutto da parte dei partiti di centrodestra, che considerano gli autonomi tra i protagonisti della loro costituency elettorale. 

Dopo la corsia privilegiata sul piano fiscale, che ovviamente ha suscitato e continua a suscitare la richiesta di analoghi vantaggi sia da parte delle imprese che dei lavoratori dipendenti, si inizia a intravedere ora per gli autonomi il ‘riscatto’ sul piano dell’analisi economica e statistica. Se la loro produttività è più bassa – è la tesi di Brunetta – non è la conseguenza del tipo di attività svolta, della qualità delle competenze e della capacità di innovazione tecnologica messe in campo, ma dell’inadeguatezza degli attuali strumenti di analisi statistica (che però sono riconosciuti a livello internazionale e misurano tutte le attività di produzione): basterebbe quindi costruire strumenti nuovi e più adatti a questo mondo, per aumentare il valore statistico e di conseguenza la percezione collettiva degli autonomi. Tesi controcorrente e coraggiosa, che sarà molto difficile tradurre in realtà operativa, ma che inquadra il lavoro autonomo sotto una luce molto più favorevole. 

Non a caso, sul piano politico e della rappresentanza d’interessi, il mondo del lavoro autonomo esprime numeri di grandissimo rilievo. Secondo una ricerca su ‘Lavoratori autonomi e imprese individuali nell’economia italiana’, realizzata dall’università Bocconi e presentata nel corso della stessa iniziativa del Cnel, i lavoratori autonomi sono oggi ben il 20,6% del totale degli occupati in Italia, pari a 4.765.400 (nel 2022), impegnati al 70% nel settore dei servizi.

L’Italia è il ‘Paese del lavoro autonomo’: è al primo posto nell’Unione europea per la presenza di autonomi da almeno 20 anni, anche se con un trend in discesa. Ci sono tutte le premesse, almeno sul piano politico, per provare l’operazione ‘riscatto’.