L’architettura dell’età dell’oro

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Un decreto del presidente Trump impone che gli edifici pubblici federali rispettino il patrimonio architettonico regionale, tradizionale e classico per “nobilitare gli Stati Uniti e il nostro sistema di autogoverno”

COMUNICAZIONE POLITICA – Prima Comunicazione, Febbraio-Marzo 2025

Tra i primi ordini esecutivi firmati nella nuova era Trump 2, uno è risultato inaspettato tra le urgenze (perlomeno tra le novità gridate al mondo come rivoluzionarie e indifferibili): la promozione dell’architettura neoclassica negli edifici pubblici federali.

Il senso dichiarato sarebbe quello di “un tentativo di allontanarsi dall’architettura brutalista, comune tra gli anni Cinquanta e Settanta”. Un primo edificio che potrebbe essere direttamente influenzato dalla nuova direttiva è la sede dell’Fbi, che Trump vorrebbe mantenere a Washington, con un design classico. L’ordine è stato indirizzato a Stephen Ehikian, il nuovo amministratore della General Services Administration (Gsa), che ora ha 60 giorni per fornire raccomandazioni al presidente per ‘promuovere’ una bella architettura civica federale. Nel decreto, il tycoon ha richiesto raccomandazioni che “promuovano la politica secondo cui gli edifici pubblici federali devono rispettare il patrimonio architettonico regionale, tradizionale e classico al fine di elevare e abbellire gli spazi pubblici e nobilitare gli Stati Uniti e il nostro sistema di autogoverno”.

Qual è la ratio? Mettere ordine nel caos delle forme? O forse sfidare il ‘politicamente corretto’ architettonico? Guardiamo agli ultimi 30 anni: tra decostruttivismo, architettura parametrica e high-tech, minimalismo e architettura essenziale, sostenibilità e architettura verde, neomodernismo e supermodernismo, architettura rigenerativa e, appunto, neobrutalismo lo spazio per le forme classiche si era smarrito. Così, una nuova società politica, che accusa il mondo di essersi smarrito e intossicato dalla diversità, cerca ancoraggi che immagina solidi per riportare la società ‘in bolla’.

Il Neoclassicismo, come già accadde nella sua prima ondata, tra la fine del XVIII secolo e l’inizio del XIX, fu uno stile ispirato all’arte e all’architettura dell’antica Grecia e di Roma. Era nato “come reazione agli eccessi decorativi del Barocco e del Rococò” puntando su proporzioni, ordine e razionalità.

Così questo nuovo impero Trump non poteva che riallacciare la sua retorica alla fondazione neoclassica che vede una traslazione nel nuovo mondo di quello che fu la terra delle origini.

Passeggiare per Washington significa infatti incontrare il Campidoglio con la grande cupola ispirata al Pantheon; la Casa Bianca citazione delle Ville Palladiane; il Lincoln Memorial con il suo tempio dorico e un trono che accoglie la statua colossale del presidente, con le mani poggiate sui fasci romani privi di scure (a simboleggiare che il potere della democrazia non necessita della forza) e poi ancora il Thomas Jefferson Memorial, la Supreme Court Building o il Washington Monument (un gigantesco obelisco fuori scala egizio che fa il verso al suo riutilizzo augusteo come simbolo dell’autorità e dell’impero).

Nei corsi e ricorsi della storia, forse anche la nostra mente, se non fosse modellata dal ciclo della Terra e delle sue rivoluzioni, si affrancherebbe da certi ritorni ciclici alle memorie del passato e, in questo caso, da quel mito architettonico che definisce la propagazione del pensiero che chiamiamo occidentale. Quindi quel popolo nuovo con un’antica nazione, che è l’America, continua a tenere la barra mentale del suo immaginario sulle origini (guardando all’Europa, come Roma guardava alla Grecia).

L’America oggi si ripresenta come quel popolo di tecnica e frontiera con un presidente che sulla Fifth Avenue – sostanzialmente il ‘decumano massimo’ di New York, ovvero la strada che definiva l’asse principale nelle città romane, sebbene lì corresse da Est verso Ovest, mentre qui da Nord verso Sud – aveva eretto la sua turgida torre nominale (la ‘Trump Tower’, un edificio postmoderno ma moquettato di marmi italiani) e che, all’investitura, parlava di “età dell’oro” rifacendosi – forse inconsapevolmente – alla mitologia greca e romana, da Esiodo e Ovidio, con accanto le divinità litigiose del suo Olimpo capitalistico come Mark Zuckerberg ed Elon Musk, che citano Roma con frequenza ossessiva (e sognano di trasportare la loro lotta, fisica e ancestrale, dentro il Colosseo).
Dal classico al neoclassico, essere il Greenwich di qualcosa è sempre un vantaggio.