Molta fiducia nella scienza, meno negli scienziati

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Un’approfondita ricerca di ‘Nature Human Behaviour’ dimostra che la fiducia nella scienza, cruciale per l’essenza dell’umanità contemporanea, rimane forte. Mentre la figura dello scienziato alimenta dubbi

CONVERGENZA – Prima Comunicazione, Febbraio-Marzo 2025

La fiducia sociale nella scienza e negli scienziati. Viene pubblicata sul sito di Nature Human Behaviour la sintesi di una ricerca che è forse la più grande ricognizione statistico sociale sul valore sociale della scienza e degli scienziati. Innanzitutto i numeri: una survey planetaria di 71.922 casi, condotta su 68 Paesi. Insieme a una complessità unica di indicatori e standard elaborativi.

E tutto questo è già una novità, abituati come siamo a striminziti sondaggi che, con 500 casi e questionari tipo cruciverba, pensano di spiegarci il mondo. Infatti questo sito non è certo un giornaletto, ma uno dei luoghi di pensiero antropologico più importanti al mondo. E se si usano strumenti tanto potenti è perché la questione della fiducia nella scienza è cruciale per l’essenza stessa dell’umanità contemporanea. Un’esigenza che parte dalla questione Covid quando, come ben sappiamo, dibattiti irresponsabili e sgangherati, soprattutto sulla questione vaccini, hanno praticamente rotto, nella paura e nella confusione dell’opinione pubblica, la sacralità degli stessi modelli scientifici. L’intervento mediatico è stato, come spesso accade, decisivo nel trasformare molti scienziati in semi delinquenti che speculavano sulla vita della gente e, gli uni contro gli altri, avevano l’obiettivo di essere delle star.

A questa dinamica se ne aggiunge un’altra successiva, legata al film di Nolan su Oppenheimer e la bomba atomica. E al di là dei contesti diversi emergono due fatti: la scienza può essere pericolosa e mortale e gli scienziati per la loro sete di successo e di risultati si dimenticano dell’umanità… nel Covid come nel progetto bomba atomica. Le urgenze sono in parte passate ma, come dimostra questa ricerca, gli strascichi ci sono eccome. Innanzitutto la fiducia nella scienza rimane forte in tutti questi Paesi, così diversi per struttura economico sociale e culturale. Ma in una media approssimata è circa un 78%, ben lontano dai valori ecumenici che avevamo 30 anni fa, circa il 90%: un rapporto quasi mistico con la scienza (e si parlava molto meno di tecnologia), fonte fondamentale per la connessione sviluppo e futuro. Ora non è più così e l’area dello scetticismo supera il 20%.

Qualcosa è successo in questi ultimi passaggi, e questo qualcosa riguarda la figura dello scienziato che alimenta dubbi per oltre il 65% di questa popolazione. Il wow mediatico ha avuto effetti e non c’è più coincidenza fra la fiducia nella scienza e quella negli scienziati che, come dimostra la ricerca, non sono più ‘dentro’ la ricerca ma sono qualcuno che ‘usa’ la ricerca. E infatti la domanda sociale verso lo scienziato si amplia di fattori che la ricerca mette insieme in un indicatore sintetico che misura il valore dello scienziato, oltre che ovviamente sulla sua competenza e sul suo sapere, anche sulla responsabilità sociale (in primis la sensibilità alla salute e poi all’ambiente, poi sui valori etici a cominciare dall’onestà). E questo è l’indicatore più eloquente di quello che ha comportato il passaggio del Covid, pensare allo scienziato come al portatore di una rottura rispetto alla ‘purezza’ della scienza.

L’indebolimento riguarda sopratutto i Paesi più evoluti come gli Usa; e la stessa Russia è in fondo. Mentre i Paesi più fiduciosi sono quelli del Brics, a cominciare dall’India. Il dato più significativo, soprattutto in questi Paesi ‘nuovi’, riguarda la particolare domanda sociale verso gli scienziati: che devono essere molto ‘vicini’ a quelli che prendono decisioni politiche. La scienza nuova deve stare ben dentro la politica e orientarla, non il contrario.