Ha bisogno di una scossa manageriale per essere in grado di giocare la partita tra le global cities, le città-Stato
LOBBY D’AUTORE – Prima Comunicazione, Febbraio-Marzo 2025
Grazie al Giubileo 2025, Roma si sta riscoprendo Città eterna. Un’invasione (stimata) di 35 milioni di turisti in più, che si aggiungeranno ai 30 milioni di presenze l’anno su cui Roma è posizionata negli anni ‘normali’. Valori immobiliari in forte crescita e una sequenza impressionante di nuove aperture di alberghi lusso ed extralusso nel centro della capitale. Perfino qualche opera nuova realizzata a tempo di record, come la completa pedonalizzazione di piazza Pia, che squarcia un vuoto di investimenti e di iniziativa pubblica che sulle rive del Tevere regnava da vent’anni. Ma sarà vera gloria?
Il destino di Roma dopo il Giubileo è un risultato da 1×2, come si diceva ai tempi del Totocalcio. Perché da una parte il Giubileo darà una buona spinta alla crescita del Pil romano e contribuirà ad accendere la luce sulle potenzialità di sviluppo della capitale, che dal “nuovo Rinascimento di Roma”, celebrato dai quotidiani internazionali nei primi anni Duemila, è passata rapidamente a uno stato di ‘coma vigile’ che dura ormai da vent’anni. E perché Roma è potenzialmente in grado di incrociare i macro-trend che domineranno lo sviluppo globale nei prossimi anni: una partita che si giocherà nella competizione tra
città-Stato, come avvenne proprio nel Rinascimento, e non più tra sistemi-Paese.
I principali urbanisti a livello internazionale prevedono infatti che vinceranno nel mondo, nei prossimi anni, le ‘global cities’ che investitori, manager e talenti provenienti da ogni angolo del pianeta sceglieranno come luogo in cui vivere. La competizione si giocherà quindi sul terreno della qualità della vita e delle opportunità culturali, dell’apertura all’innovazione e dei servizi ad alto valore aggiunto, del turismo di qualità e della cura della persona. È uno scenario molto coerente con il dna della Città eterna, a patto che sappia lasciarsi alle spalle il degrado urbano, la rassegnazione inerte, il dominio incontrastato delle rendite.
Come ho scritto nel libro ‘L’era del lavoro libero’ (Rubbettino), Roma avrebbe le potenzialità per rinascere davvero nei prossimi anni all’insegna di un ‘sogno’: diventare la Capitale della bellezza nel mondo. Ma per raggiungere questo obiettivo, alla Roma di oggi manca molto. In primis un piano strategico che guidi lo sviluppo della Città eterna, definendo in astratto e declinando in concreto il suo posizionamento distintivo a livello globale, come hanno già fatto negli ultimi decenni tutte le capitali europee. Da Parigi, che si proietta nel mondo come ‘An icon of life and style worldwide’ (Paris Resilient Strategy, 2016) realizzando 200 nuovi km, quattro nuove linee e 68 nuove stazioni di metropolitana per organizzare la ‘città dei 15 minuti’; a Berlino che si presenta in ogni angolo del pianeta come ‘An innovative economic and scientific hub’ (2030 Berlin Strategy, 2014), puntando sugli assi della rigenerazione urbana e dell’innovazione in campo economico e scientifico fino a Stoccolma che, con il progetto ‘Symbio city’, si prefigge di abbattere le emissioni inquinanti del 50% e di raggiungere un livello di raccolta differenziata vicino al 100%.
E poi serve a Roma, disperatamente, un gruppo di persone in grado di realizzare un piano strategico. Una vera e propria ‘scossa manageriale’: almeno 100 manager da inserire nei gangli vitali della macchina amministrativa di Roma Capitale e delle sue controllate, per trasformare un gigante di carta inefficiente e autoreferenziale in un sistema moderno capace di erogare servizi di qualità ai cittadini della capitale. Spingendo il sistema-Roma sul sentiero di quella partnership virtuosa tra pubblico e privato che ha fatto le fortune di Milano, a partire dalla giunta Albertini. È solo un sogno?