Il governo svedese ha prodotto un opuscolo con le regole da seguire in caso di attacco russo. In Italia la guerra è sempre distante: un altrove nello spazio e nel tempo
COMUNICAZIONE POLITICA – Prima Comunicazione, Giugno 2025
La guerra, tragicamente, nella storia esiste. La producono gli uomini, e le hanno dato vita – procurando morte – individui che avevano forse letto e riflettuto molto più di filosofia e cultura rispetto alle attuali classi dirigenti, o che comunque erano contornati da corti di saggi dediti al sapere, con meno distrazioni.
L’uomo, non si sa come, pur così acuto, geniale, a volte generoso, riesce con inusitata frequenza a trovare ragioni ferine per scannarsi, trucidarsi, pentirsi e poi, dimentico, ricominciare.
Tra i molti modi della vita per scongiurare i problemi e le ansie, ci sono gli esorcismi emotivi: quelli che proiettano nell’altrove il male che sappiamo esistere intorno a noi. Quando ci ritroviamo con un guaio fisico, un problema familiare o una qualche grana del vivere sociale, la nostra mente, sovente, argomenta: “Perché io?”. Perché, tendenzialmente, i problemi e i guai li accettiamo come appartenenti alla sfera altrui
(e, se meno prossima a noi, meglio è).
Ancor più per la guerra, che sfogliamo nella storia e nel presente con quella incredulità mentale che ci porta a teatralizzarla, a enfatizzarla in termini retorici, enucleandola da qualunque principio di realtà. La guerra è sempre distante: un altrove nello spazio e nel tempo.
Come se uomini incapaci di trovare la pace nelle loro dimensioni familiari, condominiali o professionali poi, elevandosi a collettività, trovassero ragioni per cui ciò che li rende così incapaci di convivere e mediare individualmente si ripulisse di tutta questa lordura irrazionale, per precipitare in oasi di buon senso proprio nel momento in cui l’umanità diventa un popolo, una nazione, uno Stato.
In qualche modo, quella pace a cui pensavi di esserti abbonato per diritto ereditario – che spiaggiava il suo pigro ricordo sul bagnasciuga della memoria di nonni che non ci sono più e genitori che la vissero nella loro adolescenza – mostra ormai, inesorabilmente, tutte le sue fragilità.
Quell’avaro cognitivo che è l’uomo si è evoluto nella capacità di anestetizzare il dolore e rimuoverlo per poter guardare al domani con un ragionevole ottimismo.
Anestetizzare è un succedaneo dell’esorcismo.
D’altronde, la nostra società convive e si educa all’estetica del dolore: non sono solo i maschi a fare stragi, da piccoli, dei loro soldatini (ho visto fare alle Barbie torture che i più efferati seviziatori di militari plastificati in miniatura manco si sarebbero immaginati). Una violenza poi rimbalzata nella dimensione digitale immersiva, diventata sempre più reale, sempre più cruenta, sempre più virulenta nel suo incontenibile progresso.
Poi, come l’efficacissimo moto beethoveniano della V sinfonia, ritorna il momento in cui quel ‘sol-sol-sol-mi bemolle’ (il celebre ‘ta-ta-ta-TAA…’) bussa alle nostre porte e presenta il conto per tutte le disattenzioni che abbiamo messo in atto per non controllare il mostro e disinnescare la dinamite che, lenta e inesorabile, l’inedia depositava intorno a noi.
Il gigante Karl Popper c’insegnava che “la vita è risolvere problemi” e la guerra è sempre stata ‘il problema’ più grande per l’umanità.
Quindi, come ci si prepara a una guerra? Intanto prendendo atto che, sui principali quotidiani italiani, a pochi giorni dall’ultimo Natale, si potevano leggere inserzioni a tutta pagina con questo tono: “Non aspettare. Equipaggiati… con il tuo kit da decontaminazione (a soli 1.200 euro, Iva inclusa!)”. Nel frattempo, il governo svedese aveva inviato un opuscolo a tutti i cittadini con le regole da seguire in caso di attacco russo. Vi era scritto che “quando” – non “se” – ci sarà l’invasione, “loro – i russi – vi diranno che ci siamo arresi, ma non credeteci”. I tedeschi, invece, invitavano a costruire rifugi (e noi non abbiamo avuto nemmeno l’accortezza di estendere il Superbonus al Superbunker…).
Mettiamola così: urlare che non si vuole la guerra, marciare contro le armi, pregare per un mondo migliore sono tutte azioni meravigliose, coinvolgenti e di ottimo auspicio. Poi bisognerà verificare che siano anche utili.
Siamo passati da una guerra fredda a una tiepida (anche se, per la Groenlandia, Trump ne vaticina una ghiacciata). Abbiamo vissuto per 70 anni nella sicurezza offerta dal proprietario di casa. (Ricordo sempre che, nonostante la nostra straordinaria Costituzione e la valorosissima Resistenza, noi la Seconda guerra mondiale l’abbiamo persa, e i nostri ‘liberatori-invasori’ – fino al fine settimana prima – consideravano questa nazione come una ‘nuda proprietà’). Quindi, con generosità, i proprietari hanno pagato la porta blindata dell’appartamento, le telecamere e il servizio d’allarme (con tutte le basi che potete contare sul nostro territorio). Adesso, un po’ stufi di vedere il nostro Paese renitente al riarmo, ma nostalgico del welfare, si sono posti qualche domanda retorica, tipo: “Perché dobbiamo pagare la sicurezza a un Paese che si garantisce un’assistenza sociale e sanitaria che nemmeno il mio – quello che li ha liberati e continua a pagare la sicurezza internazionale – può permettersi?”.
Noi abbiamo alcune opzioni:
– inginocchiarci a questa nuova visione atlantica;
– provare a emanciparci e, tra europei, dividerci – come in un sano Cencelli della Difesa – le competenze (tu fai le navi, quello i tank, l’altro gli aerei…);
– educare le nuove generazioni all’idea che nulla è garantito, figuriamoci la pace (non si compra su Amazon);
– attrezzarsi non di armi per offendere, ma almeno di quelle sufficienti a dissuadere i malintenzionati, che esistono: altrimenti, perché conserverebbero arsenali nucleari così pingui? Per festeggiare un Capodanno atomico?
Negli anni Ottanta scongiurammo le minacce degli SS-20 sovietici installando in Europa i Cruise e i Pershing: non produssero l’angosciante distopia annunciata da Berlinguer della “corsa al riarmo”, ma piuttosto quella al negoziato.
Quindi, magari, attrezzarsi con uno scudo spaziale non sarebbe male. Certo, se non spenderemo bene i nostri soldi, potremmo perderli per scuole e ospedali.
Ma – come insegnano le guerre – se le nazioni non si difendono quando subiscono un attacco, poi perdono anche scuole e ospedali (e la difesa brandendo defibrillatori e cateteri non risulta tra le più efficaci, così come non appare confortante l’idea di vedere capitolare la propria nazione, seppur in pareggio di bilancio).
Mi appoggio, per un ragionamento finale, al pensiero del lucido sinologo Francesco Sisci: “Lo so che la maggior parte dei nostri concittadini aborra le armi e pretende la pace. Il problema non è una scelta tra pace o guerra. Nessuno, sano di mente, vuole la guerra, la distruzione della propria casa, della propria famiglia, dei propri affetti.
Ma proprio per evitare la guerra bisogna prepararsi. Chi non si prepara, di fatto la istiga, la fomenta.
I veri guerrafondai sono coloro che si oppongono al riarmo del proprio Paese. Ciò non significa essere contro il Papa, anzi. Il Papa invita tutti a lavorare per la pace
e a disarmarsi.
Il disarmo funziona quando due o più contendenti si siedono a un tavolo e si accordano su un piano di riduzione della tensione. Parte di ciò è prepararsi alla guerra.
Può darsi che gli italiani preferiscano essere trucidati in una guerra di invasione, piuttosto che tentare di evitarla armandosi, ma l’alternativa deve essere posta ai cittadini senza infingimenti o menzogne. Volete cercare di evitare una guerra armandovi oggi, oppure essere massacrati sicuramente da un’invasione domani?”.
Insomma: se la guerra è la malattia, le armi sono la medicina o un’altra malattia?
Io penso che siano più la prima che la seconda. Ma è difficile far ragionare una società che vuole l’energia ma non produrla; pretende l’albicocca a chilometro zero, ma la mangia usando dispositivi elettronici e vestiti prodotti a diritto zero (e probabilmente anche l’albicocca è stata colta allo stesso modo).
È una società che vuole l’hamburger, ma in cui nessuno vuole ammazzare il vitello. Vuole diritti ma non doveri. Vuole, vuole, vuole. E dimentica che l’erba voglio non cresce nemmeno nel giardino del re. Anche se molti di quei loro adulti mentori erano nati come giovani marciatori e costruttori di pace… per poi diventare, da adulti, scafati rappresentanti d’armi.


















