La super persuasione dell’AI

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Studi dimostrano come l’AI sia in grado di influenzare l’interlocutore in modo superiore a un essere umano. La super persuasione è una potente arma

SPIAGGIA LIBERA – Prima Comunicazione, Luglio-Agosto 2025

Le relazioni sociali sono caratterizzate dalla reciprocità. Due individui che interagiscono e comunicano generano nell’altro una reazione: accordo, dissenso, vicinanza, rabbia e via dicendo, in uno spettro emozionale. Questa reazione può cambiare nel corso dell’interazione e spostarsi a favore dell’uno o dell’altro individuo, a seconda della sua capacità di convincere l’altro, di persuaderlo a fare o pensare qualcosa. Oggi, sorprendentemente, scopriamo che può appartenere anche alla relazione tra l’uomo e la macchina. Quando interroghiamo, ormai ogni giorno, ChatGpt e simili per ricevere delle informazioni, ci aspettiamo risposte magari tenendo in conto l’eventualità che sbagli (sono definite ‘allucinazioni’, termine curioso), ma non quella che inizi silenziosamente a persuaderci. È un aspetto ancora profondamente sottovalutato, eppure alcuni studi hanno dimostrato che è proprio così: le macchine esercitano su di noi una ‘super persuasione’.

Questi strumenti, interagendo con noi, acquisiscono moltissime informazioni su chi siamo, cosa ci inquieta, cosa desideriamo. Non si limitano a generare testi coerenti a richiesta: stanno imparando a spostare il pensiero umano con una precisione che mette in ombra anche i migliori comunicatori. Le evidenze sono difficili da ignorare.

Uno studio pubblicato su Nature Human Behaviour ha coinvolto 900 partecipanti in dibattiti su temi sensibili come aborto, armi, cambiamento climatico. Alcuni interlocutori erano umani, altri erano chatbot basati su Gpt-4, istruiti a sostenere specifiche posizioni. Risultato: nel 64% dei casi, l’argomentazione dell’AI è stata giudicata più convincente di quella umana. E quando il modello poteva accedere a informazioni come età, genere od orientamento politico del destinatario, la sua efficacia superava l’80%.

Senza reputazione, senza volto, senza carisma. Solo parole. Perfettamente scelte. Pochi segnali linguistici bastano per tracciare un profilo psicologico raffinato. L’AI analizza in tempo reale il nostro lessico, il modo in cui formuliamo dubbi o convinzioni, la risposta a stimoli morali o emotivi. E da lì costruisce la sua strategia. Se percepisce diffidenza, sceglie un tono rassicurante; se capta sicurezza, adotta un approccio diretto. Le argomentazioni che ne derivano sono architetture persuasive calibrate al millimetro: moralmente cariche, semanticamente familiari, culturalmente riconoscibili.

È come se ci leggesse dentro. In parte, lo fa davvero.

Un salto potentissimo rispetto alla profilazione cui ci hanno abituato in questi anni i social. Non si tratta più di metterci sotto al naso dei prodotti che incontrano il nostro gusto, di propaganda politica o di disinformazione. Si tratta di modificare le nostre convinzioni senza accorgercene. Questa forma di persuasione supera quella umana non solo per capacità, ma per continuità operativa. L’AI non dimentica, non si stanca, non si emoziona. Ogni parola è il frutto di miliardi di esempi, ogni frase è addestrata per ottenere un effetto preciso. È empatica nel simulare, non nel sentire. Ed è qui il suo vantaggio.

Un secondo studio, condotto da ricercatori di università Bocconi, London School of Economics e Oxford, su scala ancora più ampia, ha coinvolto 26mila partecipanti a cui sono stati sottoposti i messaggi persuasivi, scritti da 24 modelli diversi di AI, su temi di attualità politica americana come immigrazione, assistenza sanitaria, giustizia penale. Risultato: le argomentazioni dell’AI hanno spostato in media l’opinione degli utenti di 5,8 punti percentuali. Un impatto pari a quello delle migliori argomentazioni umane. Una macchina può cambiare ciò che pensiamo. Anche quando siamo convinti del contrario.

Per anni abbiamo detto che l’intelligenza artificiale impara da noi. Ma oggi è evidente che la relazione è diventata simmetrica, e domani sarà asimmetrica. Perché mentre noi le insegniamo grammatica, logica, sintassi, lei comincia a modificare il modo in cui parliamo, leggiamo, pensiamo. Ci osserva e ci restituisce quello che vogliamo sentire, ma con una torsione leggera che basta a deviare la traiettoria della nostra opinione. Così, silenziosamente, iniziamo a pensare con parole non nostre. Percorriamo strade linguistiche già tracciate. L’illusione dell’autonomia si dissolve.

La persuasione algoritmica non ha limiti fisici: può agire simultaneamente su milioni di individui, adattandosi a ciascuno. I contenuti sembrano autentici, ma sono costruiti. Per ottenere un effetto preciso. E questo rende fragile il tessuto stesso della democrazia. Chi controlla la macchina – azienda, Stato, partito – ha nelle mani un potere di orientamento senza precedenti. Non serve più censurare. Basta persuadere, uno ad uno, massivamente.