John Elkann non crede più all’editoria come settore di investimento per Exor
La tempesta di voci sulla possibile vendita de La Stampa ha trovato in queste ore un primo punto fermo: Gedi ha effettivamente fatto circolare un dossier informativo sulla testata torinese, contenente dati editoriali, economici e scenari prospettici, inviato a un numero ristretto di gruppi editoriali italiani.
Tra questi figura anche Nem (Nord Est Multimedia), società editrice che nel 2024 aveva già acquisito da Gedi le cinque testate locali del Triveneto. Da parte di Nem, però, il dossier non è ancora stato aperto, perché l’editore al momento è concentrato su altre operazioni strategiche.
Dal quartier generale di Gedi non arrivano smentite. La linea ufficiale è che La Stampa potrebbe essere ceduta qualora si manifestasse un reale interesse di mercato. Ma, ad oggi, “non ci sono richieste di approfondimento né segnali di apertura di una trattativa”, chiarisce una fonte. “Questo significa che, allo stato attuale, non esiste alcuna negoziazione in corso”.
Passaggio simbolico per La Stampa e non solo
La vicenda, tuttavia, segna un passaggio importante e per molti versi simbolico. Per la prima volta si incrina quello che da sempre era considerato un legame indissolubile tra la famiglia Agnelli e lo storico quotidiano presidio dell’informazione nel Nord Ovest.
Nel 2008 Gianni Agnelli aveva deciso di affidare al nipote John Elkann la presidenza di Itedi, la società che controllava l’Editrice La Stampa e la concessionaria di pubblicità Publikompass, e da lì era iniziato l’impegno del giovane ingegnere nel mondo dell’informazione.
L’eventualità di una cessione del quotidiano torinese apre scenari nuovi sull’assetto futuro di Gedi, controllato da Exor che negli ultimi anni ne ha progressivamente ridisegnato il perimetro editoriale, cedendo le testate locali e riducendo il peso strategico del comparto media.
Si è aperta una fase in cui anche i simboli più radicati dell’editoria italiana possono essere oggetto di riflessione, valorizzazione o cessione, se le condizioni lo consentono.
In questa prospettiva, la notizia più importante non è quella che riguarda il destino del giornale. Ma quella che riguarda il cambiamento di mentalità all’interno di Exor e Gedi: La Stampa non è più un “totem intoccabile”. È un asset. E come tale, può essere messo sul mercato.

Cambio di baricentro per Exor
Diversi commentatori sostengono che Elkann non abbia più interesse ad avere giornali in Italia, semplicemente perché non ha più bisogno di leve di potere nei confronti della politica italiana, essendosi, negli ultimi anni, spostato definitivamente all’estero il baricentro industriale e finanziario di Exor, ad Amsterdam, in Francia, negli Stati Uniti.
La holding è oggi un attore globale attivo nell’automotive, nella sanità, nel lusso e nelle nuove tecnologie, comparti in cui il rapporto con il governo italiano avrebbe perso valore strategico diretto.
Nei fatti non è così, perche nonostante la forte espansione internazionale, l’Italia continua a essere uno dei centri produttivi strategici di Stellantis, che qui concentra oltre dieci stabilimenti, centri di ricerca e poli tecnologici. Nei primi mesi del 2025 la produzione italiana è calata di oltre il 25%, e alcuni stabilimenti operano a regime ridotto per la domanda debole, nonostante ciò il gruppo ha annunciato investimenti per 2 miliardi di euro entro il 2025 per mantenere attivi tutti i siti fino al 2032, riconvertendoli verso l’elettrificazione e nuove piattaforme, impegni assunti con il governo nella trattativa sugli incentivi.
Allo stesso tempo, va ricordato che nel 2019 quando John Elkann decise di investire 102,4 milioni di euro per il controllo di Gedi, acquistando il 43,78% dei fratelli De Benedetti, immaginava realmente un futuro di crescita del gruppo editoriale legato allo sviluppo digitale e alla trasformazione dei modelli di business. Quell’ambizione, tuttavia, ha fatto i conti con scelte editoriali sbagliate e con un mercato sempre più difficile per la drammatica crisi delle vendite dei quotidiani cartacei, con i ricavi digitali che crescono più lentamente del previsto per la concorrenza delle piattaforme digitali.
Nasce da qui la progressiva disaffezione di Elkann per il settore e la scelta di valutare la dismissione anche di asset simbolici come La Stampa.












