Google AI Mode: l’ho fatta commentare ai miei assistenti virtuali

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Ho chiesto a ChatGPT, Perplexity e Claude di commentare il nuovo AI Mode di Google. Le loro risposte raccontano molto sul futuro della ricerca intelligente.

Una nuova trasformazione

Siamo nel pieno di una trasformazione: Google cambia le regole con AI Mode.
La ricerca non è più un elenco di dieci link, ma un processo guidato, conversazionale e documentato.

Il test: cosa ne pensano loro stessi

Nel mio lavoro uso questi assistenti ogni giorno per verificare dati, sviluppare idee e inquadrare temi complessi.
Ho scelto di interrogare ChatGPT, Perplexity e Claude per farmi raccontare Google AI Mode, comparandolo con loro. Sono i tre strumenti che utilizzo con più consuetudine, anche se esistono molte altre soluzioni simili.

L’esperimento è semplice: ho chiesto a ciascuno di commentare l’annuncio di Google AI Mode. Poi ho condiviso con loro l’analisi reciproca e chiesto di spiegare come si differenziano dal nuovo arrivato.
Dopo ogni loro commento, ho aggiunto il mio punto di vista.
Il risultato è interessante: al di là dei dettagli tecnici, tono, struttura e profondità delle risposte mostrano la natura di ciascuno strumento.

Google AI Mode: ricerca in profondità

AI Mode trasforma la barra di ricerca. Non più un elenco di link, ma una conversazione dove dati e fonti rispondono come collaboratori.
Domande complesse, che prima richiedevano più ricerche separate, ora producono sintesi articolate e supportate da fonti verificabili.
Il sistema lavora con query simultanee che si intrecciano, offrendo risposte polifoniche e contestualizzate.

C’è però un problema, sottolineato dai miei assistenti virtuali: gli editori rischiano di vedere meno traffico diretto verso i loro siti, perché molte domande trovano risposta prima ancora del click.

Il mio commento: Google AI Mode è quello che userò quando una ricerca ha più livelli e serve tenere insieme pezzi diversi. Da quanto ho capito — ma lo verificherò usandolo — ha la capacità di orchestrare più fonti contemporaneamente, e questo potrebbe fare la differenza su temi complessi. Ve lo racconterò presto su queste pagine.

ChatGPT: si adatta a chi lo usa

ChatGPT funziona bene quando serve ragionare insieme, fare brainstorming, confrontare opzioni.
Si adatta: cambia tono, livello di dettaglio e approccio. È utile per sviluppare idee, scrivere prime bozze, esplorare alternative.

Il limite sta nelle fonti. Quando si attiva la ricerca web, ChatGPT cita, ma non sempre con precisione: i dati possono essere datati e i riferimenti non sempre lineari. Va benissimo per pensare, meno per citare senza verifica.

Il mio commento: ChatGPT è il primo che apro quando un’idea è ancora grezza. La fluidità del dialogo aiuta a sbloccare i ragionamenti, ma serve sempre una verifica: i dati non sempre sono aggiornati e le allucinazioni restano un rischio.

Perplexity: verifica prima di tutto

Perplexity riproduce in digitale il processo di una redazione.
Prende la domanda, conduce ricerche mirate e cita le fonti in modo trasparente.
Le risposte sono asciutte, dirette e strutturate.

È pensato per chi ha bisogno di tracciabilità: professionisti che devono verificare, non solo informarsi.
È uno strumento efficiente per controllare un dato, trovare una fonte affidabile o verificare un’informazione.
Non aggiunge, non interpreta: riporta ciò che trova e indica da dove proviene.

Il mio commento: Perplexity è quello a cui torno quando serve una verifica del dato. Niente fronzoli, solo fonti e fatti. È diventato parte della mia routine di fact-checking, anche se il tema “allucinazioni” resta sempre dietro l’angolo.

Claude: mette ordine nei ragionamenti

Claude è diverso: meno veloce, più riflessivo.
Aiuta a strutturare problemi complessi, a vedere connessioni, a mettere in fila le ipotesi.
Non punta sull’effetto immediato, ma sulla chiarezza del ragionamento.

È particolarmente utile quando un tema è confuso e serve ordine prima ancora di cercare la risposta giusta.

Il mio commento: Claude è utile come compagno di riflessione: quello con cui interagire digitalmente quando un tema è ancora nebuloso e serve strutturare il pensiero prima di passare alla ricerca vera e propria.

Al termine di questa analisi comparativa, sia loro che io — come utilizzatore — concordiamo su un punto: questi strumenti sono alleati funzionali, non concorrenti.

La vera differenza sta nel modo in cui vengono usati insieme, nel capire quando serve l’uno o l’altro.
E nel non accontentarsi mai della prima risposta che arriva.
In questo caso, non vale il detto «la prima risposta è quella che conta»:
la differenza la fa chi continua a fare domande.