Ci sono due diversi e distinti Mussolini che popolano l’immaginario collettivo degli italiani. Il primo – come titola Giordano Bruno Guerri nel suo libro edito dalla Rizzoli – è la storia di un italiano che poi si è fatto Duce. Per conoscerlo bene, evitando le strumentalizzazioni e letture di parte è possibile attingere a una vasta bibliografia sull’uomo e sul politico più controverso della nostra storia recente. Ci sono i volumi di Renzo De Felice, quello di Guerri e, segnalo, tra i tanti anche, ‘Mussolini racconta Mussolini’ a cura di Mimmo Franzinelli, edito da Laterza.
Poi c’è un secondo Mussolini, molto più presente rispetto al primo. È quello che vive e popola la rete, che si attualizza periodicamente grazie alla marcia sull’hype. Basta poco per tirarlo fuori dall’oblio e fargli assaporare l’ebbrezza seducente dell’audience. Solo che questo secondo Mussolini è molto diverso dal suo antenato, grazie o a causa della piattaformizzazione informativa è assurto a un ruolo astorico, protagonista di una narrazione che si è emancipata dal contesto temporale, che ha rotto i legami con la sua identità originaria e che finisce per alimentare una percezione metamussoliniana.
Questo conflitto, da un lato la rappresentazione storica e dall’altro quella della percezione, è rintracciabile seguendo diverse tracce digitali. Innanzi tutto, i volumi delle ricerche online che negli ultimi vent’anni, dal 2004 al 2024, sono state fatte dagli italiani.
Grazie a Google, che ha reso accessibile e fruibile questa immensa miniera di informazioni dove finiscono sepolte tutte le nostre curiosità e i nostri impulsi, possiamo vedere non solo che il nome Benito Mussolini ha mantenuto sempre un elevato interesse di ricerca, ma soprattutto che tra le query più cercate in abbinamento al nome del Duce ci sono ‘Hitler’, ma soprattutto ‘frasi mussolini’, ‘frasi benito mussolini’ e ‘morte mussolini’.
Ciò che cattura il nostro interesse online, a ottant’anna esatti dalla sua morte, non è la gravitas storica, quanto la fragilità cognitiva di una citazione, da poter condividere in chat o su una bacheca social.
Del resto, è sufficiente fare un semplice esperimento, che può essere ripetuto su diverse piattaforme social, per avere una riprova di questa mutazione.
Proviamo a scrivere nella barra delle ricerche di Facebook, di X, ma anche di Instagram, LinkedIn o di TikTok, il nome Benito Mussolini per vedere quanti account, gruppi, pagine con il volto e il nome del duce ci sono. Certo, molti sono stati aperti, ma poi non hanno mai pubblicato, ma intanto restano lì a galleggiare pronte a rimbalzare nelle stringhe di ricerca.
C’è poi un ulteriore dato da tenere in considerazione che non riguarda gli account o le ricerche online, ma le menzioni nominative rintracciabili nelle discussioni online. Sono nell’ultimo anno, infatti, sono oltre 124.000, con una media mensile di 10.300 citazioni. A loro volta, qui c’è un ulteriore aspetto, addirittura più interessante, perché tutte queste conversazioni hanno generato un sentiment positivo, ovvero una reazione comportamentale, del 37%, che coincide perfettamente con la percentuale di sentiment negativo. Mentre, la quota di sentiment neutro è del 26%.
Sia chiaro: ciò non significa che gli italiani sono affascinati ancora dalle gesta o dalla figura storica di Mussolini e neanche, come sostiene Scurati, che la “nostra coscienza nazionale ha il suo lato oscuro in quello che ha fatto”. Ma molto probabilmente questo lavorio incessante sulla sua figura e sul pericolo di un ritorno del fascismo ha contribuito a trasformare il senso narrativo degli allarmi.
Mussolini è diventato qualcosa di altro, del tutto decontestualizzato rispetto alla sua vicenda storica che è poi una vicenda nazionale.
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