A lanciare questa iniziativa giornalistica è stata l’associazione no-profit che analizza la copertura mediatica del cambiamento climatico Covering Climate Now.
“Per anni – e soprattutto in questo momento politico così teso – la maggior parte della copertura mediatica sulla crisi climatica è stata difensiva. Le persone che sostengono l’azione per il clima ricevono implicitamente il messaggio – da parte dei loro rappresentanti eletti, dall’industria dei combustibili fossili, dai media e dai social – che la loro è un’opinione minoritaria, persino marginale. Ma non è quello che emerge dalle nuove ricerche” hanno spiegato Mark Hertsgaard e Kyle Pope, cofondatori dell’associazione.
Secondo lo studio più recente, People’s Climate Vote 2024, condotto dall’Università di Oxford per le Nazioni Unite, infatti, nei paesi più poveri l’89% vuole azione climatica più forte. Nei paesi industrializzati, la percentuale è di circa il 66%. In totale, l’80% della popolazione globale è favorevole a un intervento più deciso.
Negli Stati Uniti, ad esempio, il sostegno all’azione per il clima è del 74%. Dato sorprendente a fronte della sottovalutazione sistematica dell’emergenza climatica da parte dell’amministrazione Trump, che ha firmato il giorno stesso dell’insediamento alla Casa Bianca l’ordine esecutivo con cui si ritirava per la seconda volta (dopo la prima nel giugno 2017) dall’Accordo di Parigi sul clima.
Confermano che più di otto persone su 10 vogliono che i loro rappresentanti politici garantiscano un futuro vivibile anche i numerosi studi del programma di Yale sulla Comunicazione del Cambiamento Climatico, che è un punto di riferimento internazionale nella ricerca sull’opinione pubblica in materia climatica.
Aggiunge un dettaglio cruciale la recente ricerca pubblicata su Nature Climate Change: la maggioranza globale non sa di esserlo. “Le persone sottovalutano sistematicamente la disponibilità degli altri ad agire”, si legge nello studio.
“Questa disconnessione tra la volontà popolare e l’azione politica concreta rappresenta un serio deficit di democrazia” sottolineano Hertsgaard e Pope.
Cosa accadrebbe se questa maggioranza silenziosa si svegliasse comprendendo di rappresentare una massa critica? Come cambierebbero le azioni delle persone in qualità di cittadini, consumatori, elettori? Cosa chiederebbero concretamente alla politica?
Sono queste le domande che guidano The 89 Percent Project, iniziativa mediatica che durerà un anno fino alla prossima Giornata della Terra, 21 aprile 2026.
Partner principali del progetto il quotidiano The Guardian e l’agenzia stampa Agence France-Presse.
Tra le redazioni che al momento vi hanno aderito: The Nation, Rolling Stone, Scientific American e Time negli Stati Uniti; il quotidiano National Observer in Canada; l’emittente globale Deutsche Welle in Germania; il Corriere della Sera in Italia; il quotidiano Asahi Shimbun in Giappone; e l’organizzazione non governativa multinazionale Arab Reporters for Investigative Journalism con sede in Giordania.
L’organizzazione Covering Climate Now ha invitato testate di tutto il mondo a raccontare, in modo indipendente o in collaborazione, le maggioranze pro-clima presenti sul proprio territorio.
The 89 Percent Project è stato inaugurato con questa prima settimana di copertura congiunta, iniziata martedì 21 aprile in occasione della Giornata della Terra. Seguiranno studi volti a esplorare i tanti aspetti della questione climatica e le azioni pratiche con cui affrontarla che verranno presentati nella seconda settimana di copertura prevista prima della conferenza delle Nazioni Unite sul Clima Cop30, prevista in Brasile dal 10 al 21 novembre 2025.
L’iniziativa prevede inoltre eventi di formazione, conferenze e concorsi per premiare i migliori racconti della crisi climatica nel mondo.
Foto (Instagram): Logo The 89 Percent Project
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