Nella notte tra il 12 e il 13 giugno, mentre l’attenzione dei media era concentrata sull’attacco israeliano a obiettivi iraniani, Elon Musk ha riattivato la costellazione Starlink sopra l’Iran.
Il segnale è stato annunciato con un tweet semplice: “The beams are on”. E la rete satellitare, tra le più discusse al mondo, è tornata operativa per permettere alla popolazione iraniana di accedere a internet, aggirando il blackout imposto dal regime.
Si tratta di un’azione concreta e simbolica. Centinaia di terminali Starlink sono stati introdotti clandestinamente nel Paese grazie a una rete di attivisti e membri della diaspora.
Non è la prima volta: già durante le proteste per la morte di Mahsa Amini nel 2022, i satelliti di Musk avevano consentito la diffusione di video e testimonianze che il governo di Teheran voleva bloccare.
Questa volta, però, il gesto assume un significato più ampio. L’Iran è sotto pressione internazionale, isolato sia diplomaticamente sia digitalmente.
Riattivare Starlink significa permettere la circolazione di informazioni dove tutto è stato oscurato, restituendo voce ai cittadini al di fuori del controllo statale. È un’azione che non nasce da istituzioni o accordi internazionali, ma da un imprenditore legato a piattaforme digitali più che a organismi come l’ONU.
Secondo fonti come Time e testate tedesche, i terminali vengono trasportati di nascosto attraverso confini difficili, nascosti nei doppi fondi dei veicoli, alimentati da pannelli solari e condivisi tra comunità. Ogni parabola è una porta aperta sul mondo, ogni connessione un modo per resistere.
I rischi sono elevati, sia per chi usa i dispositivi sia per chi li fa entrare nel Paese.
L’azione di Musk, per quanto potente, non ha una legittimità internazionale. Nel frattempo, in Iran si diffonde un messaggio chiaro: se il governo spegne, qualcuno riaccende. In un’epoca in cui il controllo della rete equivale a un potere assoluto, avere accesso a una connessione satellitare indipendente diventa un diritto fondamentale.
Questa operazione è anche un segnale per l’industria dell’informazione che per la libertà d’espressione ha anche le orbite basse come piattaforma da utilizzare.
Manifestazioni pacifiche in centinaia di città americane. “Democrazia, non monarchia”.
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