COMUNICAZIONE POLITICA – Prima Comunicazione, Aprile-Maggio 2025
Un linguaggio semplice, martellante, ripetuto fino allo sfinimento. Non è solo la fine dell’ipocrisia, ma la normalizzazione di una comunicazione che, prima di Trump, era riservata a regimi autocratici. Il presidente degli Stati Uniti ha portato in Occidente ciò che da tempo veniva praticato in autocrazie come la Russia di Putin, la Cina di Xi Jinping (nel silenzio) e la Corea del Nord di Kim Jong-un. L’inquietante aspetto di questa trasformazione è che la politica occidentale, un tempo esercizio di democrazia e aspirazione alla trasparenza, si è progressivamente avvicinata a quei dispotismi, in cui la verità è manipolata e l’alterazione delle informazioni è espressa senza alcun pudore.
Con enormi sforzi, la politica in democrazia, pur essendo per sua natura strutturalmente ambigua e compromissoria, aveva cercato di nascondere le sue contraddizioni, costruendo una narrazione che mascherava la realtà sotto strati di retorica. Trump ha abbattuto questo muro di ipocrisia, mostrando della politica quella lotta di potere in cui la comunicazione è uno strumento per raggiungere i propri scopi con primaria efficacia. Le invenzioni non vengono più nascoste, ma esplicitate senza timore. La politica smette di cercare di sembrare giusta e si accontenta di essere ‘efficace’. Non importa se la verità è distorta, ciò che conta è il risultato.
Tuttavia, questa ‘rivoluzione comunicativa’ ha un lato oscuro. Quello che Trump ha fatto, in fondo, è rendere accettabile a livello globale un linguaggio astratto dalla realtà, disinvolto nella sua garanzia di non poter essere contraddetto. In un contesto autocratico, i leader possono permettersi di mentire apertamente, manipolare le informazioni e fare dichiarazioni che non rispecchiano l’oggettività, proprio perché la democrazia non esiste, e quindi non c’è alcun obbligo morale o legale di rendere conto al pubblico. Trump ha introdotto questo approccio nella politica occidentale. Non solo ha seguito il modello autoritario, ma lo ha anche popolarizzato e legittimato nella democrazia, con effetti devastanti per la politica globale.
A questo punto, il vero problema non è solo che Trump ha portato l’autocrazia nel cuore della democrazia, ma che questa mossa ha creato un effetto imitativo, un meccanismo che René Girard, il noto antropologo francese, ha descritto come una dinamica di ‘desiderio mimetico’. Secondo Girard, quando una persona adotta un comportamento, gli altri tendono a imitarlo, senza porsi troppe domande sulle sue implicazioni morali o sociali. In altre parole, se un leader come Trump può permettersi di dissimulare apertamente e costruire la sua comunicazione politica su manifeste ‘interpretazioni’, altri leader, e perfino cittadini, sentiranno di avere il permesso di fare lo stesso.
Questa dinamica mimetica è anche il cuore del ragionamento di Peter Thiel, il famoso imprenditore e filosofo (cofondatore di PayPal, primo investitore di Facebook, cofondatore di Palantir e molto altro), che ha parlato dell’importanza della ‘differenza’ per il successo. Thiel sostiene che, per emergere in un mondo saturato di imitazioni e comportamenti di massa, è essenziale distinguersi, ma spesso questa distinzione passa attraverso l’assunzione di un comportamento radicalmente diverso, che sfida le norme.
Trump, in questo senso, ha creato uno spazio dove il comportamento ‘non convenzionale’ – per esempio, fingere pubblicamente o fare affermazioni infondate con totale disinvoltura – è diventato non solo accettabile, ma anche emulato.
Quello che sta accadendo oggi è che questa normalizzazione della falsificazione porta con sé un pericolo ancora maggiore: l’idea che ognuno possa sentirsi legittimato ad agire allo stesso modo. La vera sfida che questa nuova comunicazione pone riguarda la qualità della democrazia. Non si tratta più di fare delle scelte in base a fatti condivisi, ma di lottare per imporsi con la propria verità, che non è più oggettiva, ma soggettiva e manipolabile. Quando chiunque sente di poter dire qualsiasi cosa senza affrontarne le conseguenze, la democrazia rischia di diventare un campo di battaglia per il controllo della percezione, più che per l’elaborazione di politiche partecipate.
Il rischio, dunque, è che la politica diventi un campo in cui l’alterazione della realtà non solo è accettata, ma celebrata come una forma di realismo crudo. L’imitazione non si limita più ai leader autoritari, ma si espande a tutti, dalla politica alla società civile, dove ognuno si sente abilitato a manipolare l’oggettività per i propri scopi.
L’effetto di questa nuova comunicazione rischia di non segnare solo un cambiamento nello stile della politica, ma una vera e propria trasformazione del nostro rapporto con la ricerca della verità e dell’approssimazione della realtà, portando la politica a non essere più un luogo di confronto sulle percezioni condivise, ma un’arena in cui ognuno è legittimato a creare la propria versione dei fatti.
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