Il karma gira e stavolta ha colpito proprio lui: Roberto D’Agostino, il re del gossip e delle indiscrezioni di Dagospia, si ritrova oggi dall’altra parte della barricata non più cacciatore di segreti, ma vittima di spiate.
La Procura di Roma ha deciso di mettere sotto la lente sette smartphone, tutti appartenenti a persone che sarebbero finite nel mirino del famigerato software israeliano Paragon. E tra i “spiati” c’è D’Agostino, insieme agli attivisti di Mediterranea (Casarini, Caccia e don Ferrari), i giornalisti Cancellato di Fanpage e Pellegrino, più la blogger olandese Vlaardingerbroek.
Il 23 giugno partiranno gli accertamenti tecnici sui telefonini per capire se davvero sono stati violati da Graphite, il super-software militare capace di bucare anche i cellulari più blindati. L’accusa è pesante: accesso abusivo ai sistemi, violazione della corrispondenza, intercettazioni illegali.
Gli israeliani di Paragon giocano di rimessa e si lavano le mani: “Noi abbiamo chiuso i rapporti con l’Italia per sospetti di uso scorretto. Per le domande sui giornalisti spiati rivolgetevi al governo italiano”, scrive La Presse.
Matteo Renzi grida al “Watergate italiano” sui sui social e ospite di Lilly Gruber a 8 e 1/2 dice ” Se spiano pure Dagospia e il governo fa finta di niente, siamo messi male. Quando tocchi i direttori dei giornali, addio democrazia”.
Le opposizioni insorgono. Dal Pd (Ruotolo, Serracchiani, Graziano) al M5S (Silvestri) passando per Fratoianni di Avs, tutti puntano il dito contro Meloni e Mantovano: “Basta silenzi, vogliamo sapere chi c’è dietro”.
E D’Agostino? Incassa il colpo con la solita dose di cinismo: “Cronache dall’Italia all’olio di ricino: Dagospia finisce spiata! Lo scandalo si allarga nel disinteresse generale.”
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