AI

L’ Ai è pronta! Ma nelle aziende manca la nuova cultura organizzativa

Chi lavora nella customer experience avverte il clima operativo del 2025: la GenAI non è più teoria, ma pratica quotidiana. Questa innovazione non si riduce a una questione tecnologica, ma rappresenta una sfida profonda per le organizzazioni, che devono rivedere processi, ruoli e culture interne per trarne vero vantaggio. E ciò che sorprende i manager non è più la velocità dell’innovazione, quanto la distanza crescente tra chi limita l’adozione a progetti isolati e chi invece costruisce davvero la capacità di orchestrare processi, dati e competenze.

Le ultime survey pubbliche di settore evidenziano chiaramente questa tendenza.

Uno studio BCG-Konecta (2025) mostra che la produttività nei contact center cresce del 15-30% solo quando esistono figure di coordinamento ibrido umano-digitale dedicate al tuning dei workflow e alla revisione costante dei prompt. Dove questo presidio manca, i ritorni operativi difficilmente superano il 10%.

La polarizzazione emerge anche dal Global AI Adoption Index di IBM (2025): alcuni top performer hanno registrato un incremento della soddisfazione clienti fino al 18%, ma circa il 28% delle aziende segnala addirittura un peggioramento delle proprie metriche di customer experience.

Un’ulteriore conferma arriva dalla ricerca The GenAI Divide: State of AI in Business 2025 di MIT’s NANDA  che evidenzia come ben il 95% dei progetti pilota di GenAI nelle imprese fallisca nel passaggio dalla sperimentazione all’effettiva implementazione su scala, evidenziando ancora una volta come la difficoltà reale non sia tanto la tecnologia in sé, quanto la complessità del change management e la mancanza di una strategia organizzativa solida.

Il rilevamento Medallia 2025 evidenzia inoltre come appena il 46% dei manager considera adeguati i propri modelli organizzativi di fronte alla velocità imposta dalla GenAI. La maggioranza ammette di non avere strutture pronte per gestire integrazione fluida tra operatori e modelli generativi.

Nel report McKinsey “The future of customer experience: Embracing agentic AI” (giugno 2025) emerge con chiarezza il differenziale competitivo dei team misti human+AI: in alcuni casi studio, il tempo medio di gestione pratiche è sceso da 15 minuti a poco più di 1 minuto, la first-time resolution è migliorata fino al 10%, e l’accettazione delle proposte di assistenza è salita al 66%, contro il 25% dei precedenti portali digitali.

Non è quindi la piattaforma tecnologica in sé a definire i vincitori, ma la capacità di scrivere processi nuovi e codificare ruoli inediti – dal prompt architect al CX analyst – dentro team trasversali e logiche real-time. Dove questa regia manca, la GenAI rischia di restare al palo, ostacolata da bias organizzativi, dati inconsistenti e metriche non standard.

Uno studio Blue Prism (2025) conferma il paradosso: l’88% delle aziende dichiara di misurare il valore derivante dall’AI, ma solo una minoranza riesce a tradurre questi indicatori in nuovi modelli decisionali.

Quanto osservato porta a considerare che la differenza non stia solo nella tecnologia, ma anche nella capacità delle aziende di sviluppare una cultura agile e integrata con l’AI, dove la customer experience può diventare un elemento dinamico di vantaggio competitivo.

Le intelligenze artificiali quindi non sono macchine che sostituiscono i lavoratori ma culture e sistemi relazionali che intanto ridisegnano le gerarchie aziendali costringendo l’impresa ad adeguarsi ad un Capitale umano più centrale e protagonista.

Come  già accennato, i sistemi generativo,evolvendo verso modelli altamente personalizzabili, hanno un alto impatto sul work flow prima ancora che sulla quantità di lavoro. Questo è lo spazio per rendere negoziabile e condiviso il processo di automatizzazione delle decisioni

Immagine realizzata con ChatGPT

Carlo Nardello

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