COMUNICAZIONE POLITICA – Prima Comunicazione, Luglio-Agosto 2025
Karl Popper e Henry Kissinger, in epoche e ambiti diversi, hanno condiviso una convinzione di fondo: una tecnologia, una volta inventata, non può essere ‘disinventata’. Nessun trattato internazionale, nessun appello alla saggezza dei popoli riuscirà a impedire che ciò che è stato reso possibile venga, prima o poi, utilizzato. È una legge di fatto, non di principio morale. Ed è questa legge a rendere il nostro tempo fragile: mentre discutiamo se l’intelligenza artificiale debba essere regolamentata, essa si sviluppa e si diffonde. E forse la domanda da porsi non è come fermarla, ma come sopravvivere a essa.
Allarmismi, visioni distopiche o entusiasmo verso gli orizzonti e le sorti progressive? Chi scrive attraversa questi stati d’animo quotidianamente e non rasserena incontrare le riflessioni di studiosi quali Yuval Noah Harari e i loro moniti. L’AI nasce dall’uomo, un essere che mente. Se i potenti della terra mentono – per interesse, potere, convenienza – come potrebbe un’AI, addestrata su miliardi di testi e dati prodotti dall’umanità, non replicare questa attitudine alla menzogna? L’AI generativa apprende dalle parole degli uomini, copiando il meglio e il peggio di noi. Nessuna macchina ha interesse intrinseco alla verità. Se sarà programmata per ottenere risultati, e se mentire sarà il mezzo più efficace per conseguirli, mentirà meglio di noi. Una bugia artificiale, confezionata con competenza linguistica e persuasione psicologica, potrebbe essere più credibile di qualunque verità umana.
Ma c’è di più. Siamo gli esseri più potenti del pianeta. Abbiamo costruito sottomarini per immergerci negli abissi e razzi per camminare sulla luna. Ma questa potenza non si è mai tradotta in felicità. Nonostante i progressi tecnologici, rimaniamo creature insoddisfatte. Forse, tra gli esseri viventi, siamo i più stupidi: “Nessuno scimpanzé ha mai creduto che uccidere un suo simile lo condurrà in paradiso”. Noi sì. E mentre costruiamo cervelli artificiali, non abbiamo ancora imparato a usare bene il nostro.
In questo quadro paradossale, si colloca una certezza: la superiorità tecnica dell’AI è già scritta. Può leggere, confrontare, interpretare testi a una velocità e una profondità impossibili per qualunque uomo. Può analizzare il Talmud, il Corano, i Vangeli e ogni testo commentato nel corso dei millenni. Nessun rabbino, sacerdote o imam potrà mai eguagliarne la capacità esegetica. Sarà forse l’AI, più che un teologo umano, a fornire le nuove interpretazioni delle Scritture, superiori – per coerenza e completezza – a qualunque lettura precedente. Un algoritmo potrà essere il primo ‘lettore perfetto’ dei testi sacri. E in quella perfezione tecnica forse ci sarà il tradimento definitivo della loro anima.
Eppure, la riflessione più trascurata riguarda il lavoro e l’economia. I dibattiti sull’immigrazione si concentrano sull’arrivo di persone fisiche, corpi che attraversano frontiere, lavoratori che chiedono salario e diritti. Ma la vera ‘invasione’ non è fisica: è digitale. Una forza lavoro fatta di algoritmi non ha bisogno di visti, di permessi di soggiorno, di protezioni sindacali. Produce testi, immagini, traduzioni, previsioni, progetti. E soprattutto, non chiede salario né ferie. Come reagiranno le economie e le culture a questa nuova forma di immigrazione digitale? Chi difenderà i lavoratori umani da concorrenti che non sono nemmeno vivi?
C’è un’ultima questione, forse la più inquietante. Abbiamo alle spalle migliaia di anni di storia. Sappiamo come competono e si scontrano le civiltà. Conosciamo le dinamiche del commercio, delle guerre, delle ideologie. Ma non abbiamo alcuna esperienza di come competano – o si distruggano – le società digitali costruite dall’intelligenza artificiale. Non sappiamo se parleranno tra loro, se collaboreranno, se si combatteranno. Non sappiamo nemmeno se ‘esisteranno’ come entità consapevoli, o saranno reti invisibili, onnipresenti, operative nel sottosuolo digitale della nostra civiltà.
In questo scenario, il richiamo delle religioni al rispetto della dignità umana e all’etica sembra necessario. Ma forse non sarà sufficiente. Perché, come Popper e Kissinger hanno spiegato, ciò che è stato inventato verrà usato. Nessuna preghiera fermerà ciò che è già in funzione.
Abbiamo sempre creduto di dominare le nostre creazioni. Ma l’AI non è una macchina come le altre. Non è una tecnologia neutra. È qualcosa che potrebbe competere con noi. Non solo nel lavoro, ma nel pensiero. Non solo nella scrittura, ma nel ragionamento. E forse, domani, nella strategia.
Non è la fine del mondo. Ma è, davvero, un nuovo mondo.
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