Nei giorni in cui Bruxelles pubblica le linee guida per l’attuazione dell’AI Act e Apple integra modelli generativi nei suoi dispositivi, si percepisce non un salto nel futuro, ma la conferma di un presente ormai consolidato. L’intelligenza artificiale come abbiamo raccontato su questa testata è già dentro le nostre giornate, più silenziosa ed ubiqua di quanto ammettiamo.Un lavoratore americano su cinque utilizza regolarmente sistemi di AI generativa, e in Europa la quota arriva a quasi il 30% per i professionisti .
Anche in Italia, dati recenti indicano che un professionista su quattro si affida ogni giorno a ChatGPT, Copilot o tecnologie simili per scrivere, sintetizzare e analizzare.
Le applicazioni pratiche sono diffuse: dalle agenzie di comunicazione milanesi che affidano all’AI le bozze dei piani , agli ospedali che automatizzano la compilazione delle cartelle cliniche, fino alle amministrazioni pubbliche che sperimentano chatbot pubblici per gestire le richieste dei cittadini. Negli Stati Uniti, realtà come Walmart usano l’intelligenza artificiale per orchestrare complessi processi logistici, mentre in Europa start-up come la francese Mistral AI incarnano un nuovo protagonismo tecnologico.
L’AI si annida negli strumenti che già conosciamo e usiamo — da Microsoft Office a Google Workspace, da Adobe ai nostri smartphone — cambiando radicalmente il rapporto tra uomo e tecnologia.
Google con AI Mode trasforma la ricerca in dialogo, Microsoft con Copilot amplifica la produttività quotidiana, e le redazioni più avanzate usano algoritmi per generare automaticamente notizie finanziarie o sintetizzare dati.
Dal 10 ottobre 2025, la normativa italiana — in attuazione diretta dell’AI Act europeo — è entrata in vigore imponendo ai professionisti che utilizzano sistemi di intelligenza artificiale di informare chiaramente clienti, interlocutori o lettori sull’uso di questi strumenti, specificandone il ruolo di supporto e mantenendo sempre la responsabilità diretta dei contenuti prodotti.
Il punto non è solo la velocità o l’efficienza dell’AI, ma la capacità di restare presenti, consapevoli e responsabili mentre queste tecnologie agiscono. Perché il rischio più grande è la comodità che ci induce a delegare e a smettere di interrogarci sul potere che queste macchine esercitano sulle nostre menti e sui nostri lavori.
La vera rivoluzione non è far fare tutto all’AI: è governare con trasparenza, etica e consapevolezza il rapporto tra uomo e macchina.
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