Il rider, la pizza e la rivoluzione

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Roma, venerdì sera. Piazza del Collegio Romano: il liceo occupato, lo striscione, la bandiera palestinese. E un rider Glovo che consegna una pizza.
Benvenuti nell’occupazione 2.0 della generazione Z.

Ore 21. Il portone si apre, scendono due ragazze. Niente volantini: solo smartphone e fame post-assemblea. Zaino giallo fluo, margherita fumante, scambio veloce. Sopra, gli slogan della protesta. Sotto, una Coca Zero e la mancia da cercare tra le chiavi.

La protesta si fa con l’app

Il digitale coordina tutto: Telegram per le assemblee, Instagram per gli slogan, Glovo per la cena. La mobilitazione è online e offline insieme, senza interruzioni. I ragazzi bloccano la scuola ma non le abitudini. Protestano contro il sistema mentre ci vivono dentro, perché sottrarsi è impossibile.

Si protesta per la fame (ma ci si tratta bene)

Occupano per il diritto allo studio, contro i tagli, per la giustizia sociale. Parlano di disuguaglianze e precarietà. Poi ordinano delivery come fosse normalità. E lo è, per loro.
Non è ipocrisia: è vivere in un sistema che ha colonizzato ogni gesto quotidiano. Si critica lo sfruttamento dei rider mentre li si chiama. Si denuncia il capitalismo digitale con lo smartphone in mano. La contraddizione non è dei ragazzi: è del tempo che abitano.

Il rider: l’ingranaggio invisibile

Lui consegna, incassa, riparte. Non giudica. È il precario che serve altri precari in formazione. Il simbolo perfetto di chi lavora per mantenere vive le abitudini altrui. Forse è il vero mediatore sociale della Gen Z: colui che permette di protestare senza rinunciare al comfort, collegando slogan e algoritmi.

Protesta e consumo: l’ibrido digitale

La scena non è un tradimento degli ideali, ma la fotografia di una generazione che vive nell’ibrido: protesta e consumo insieme. Il digitale ha trasformato la mobilitazione, ma anche la vita. Separare le due cose è impossibile.
L’occupazione diventa esperienza di consumo, il picchetto si organizza in chat, la resistenza arriva in trenta minuti. Non è la fine della politica, è la sua mutazione.

La domanda resta: come si cambia un mondo in cui si è già completamente immersi?
Per ora, la risposta arriva con la pizza ancora calda.