Equo compenso: Agcom ricorre al Consiglio di Stato contro la sospensione del Tar

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Nelle mani del Consiglio di Stato il futuro dell’editoria giornalistica italiana? Il massimo organo di consulenza giuridico-amministrativa dovrà infatti ‘’scongelare’’ la sospensione del regolamento Agcom sull’equo compenso, che le piattaforme digitali devono riconoscere agli editori per lo sfruttamento delle loro pubblicazioni, altrimenti il settore non avrà più alcun riferimento in base al quale trattare economicamente con le big Tech, ossia i giganti di internet.

L’Agcom, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, attraverso l’Avvocatura Generale dello Stato, ha infatti presentato al Consiglio di Stato un ricorso alla sentenza del Tar del Lazio dello scorso 12 dicembre per annullare, in attesa del giudizio rimesso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la sospensione, come richiesto in via cautelare da Meta Platform Ireland Limited.
La società di Mark Zuckerberg, a cui fanno capo Facebook e Instagram, si è appellata alla giustizia amministrativa contro tutto il provvedimento dell’Autorità, che nel cosiddetto ecosistema digitale, dopo una lunga istruttoria con tutti gli operatori, ha varato, per primo in Europa e in linea con le direttive Ue sul Copyright, un regolamento per tutti gli ‘’attori’’ e che ha già prodotto importanti effetti, che ora rischiano di andare all’aria.  
Infatti il Tar del Lazio se ha respinto il ricorso di Meta, riguardante rispettivamente la violazione del principio del ‘Paese di Origine’ e la libera circolazione dei servizi, nonché l’omessa notifica alla Commissione europea ai sensi della Direttiva Servizi Tecnici, ha deciso di rimettere alla Corte di Giustizia le questioni pregiudiziali relative all’applicazione del regolamento Agcom, sospendendo però, nelle more del giudizio, l’esecuzione degli atti impugnati. Di fatto privando gli editori di uno strumento per bilanciare lo strapotere delle OTT, Over The Top, come Amazon, Google, Facebook, che detengono il 75 per cento della raccolta pubblicitaria grazie al traffico in gran parte dovuto alla pubblicazione di news.   
In particolare la sospensione dell’efficacia degli atti gravati è stata disposta dal Tar “a fronte dell’emersione di ravvisate esigenze cautelari, ricongiunte alla immediata esecutività delle disposizioni avversate” nelle more della definizione delle questioni pregiudiziali fino alla nuova fissazione dell’udienza  pubblica di trattazione della controversia, all’esito del giudizio presso il Giudice unionale”.  
Nel ricorso al Consiglio di Stato si sottolinea invece che, tenuto conto che l’impugnata delibera Agcom n. 3/23/CONS del 19 gennaio 2023 è sussumibile nella categoria degli atti amministrativi generali, deve ritenersi che la disposta sospensione produca effetti erga omnes, ossia nei confronti di tutti.
Secondo l’Avvocatura dello Stato nella decisione impugnata, il Giudice ha infatti totalmente omesso di  considerare, nell’accogliere l’istanza cautelare proposta da Meta, il pregiudizio  che una siffatta sospensione arrecherà a tutti i soggetti che l’art. 15 della Direttiva  (UE) 790/2019, c.d. Direttiva copyright, intende tutelare e che, in assenza del predetto Regolamento, risulterebbero privati dello strumento apprestato nel  nostro ordinamento per rendere effettiva quella tutela accordata dalla norma  europea.
“La sospensione dell’efficacia del Regolamento equo compenso erga omnes – si legge nel ricorso al Consiglio di Stato – oltre che del tutto immotivata, risulta anche totalmente sganciata da  alcun bilanciamento degli opposti interessi, di fatto paralizzando (in carenza, lo  si ribadisce, di alcuna giustificazione) nelle more della decisione delle questioni  pregiudiziali da parte della Corte di Giustizia (che di regola ha una durata di  circa un anno e mezzo, cui deve sommarsi il lasso temporale per la fissazione  dell’udienza di merito), l’intera linea di attività dell’Autorità riconducibile al  relativo quadro legislativo-regolamentare, privando al contempo gli editori della  tutela accordata dall’ordinamento europeo, giacché verrebbe meno per un lasso  di tempo indefinito ogni strumento atto a implementare l’articolo 15 della  Direttiva copyright, e dunque, in definitiva, qualunque strumento di tutela ai fini  della determinazione dell’equo compenso in caso di mancato accordo tra le parti”.   

Viene inoltre documentata l’operatività del Regolamento da quando è entrato in vigore il 24 febbraio 2023. In particolare sono state presentate 8 istanze volte alla determinazione dell’equo compenso da parte dell’Autorità: 4 nei confronti di imprese di media monitoring e rassegna stampa e 4 nei confronti di prestatori di servizi della società dell’informazione.  
Nel ricorso al Consiglio di Stato si sottolinea, pertanto, come la sospensione dell’efficacia del Regolamento determini un gravissimo vulnus alla tutela predisposta dall’ordinamento europeo ad un’intera categoria di soggetti (gli editori) a fronte della richiesta di un singolo operatore. 
I presupposti di una eventuale tutela cautelare – conclude il ricorso – potrebbero al più essere valutati, di volta in volta, nell’ambito dei singoli contenziosi che dovessero sorgere a seguito delle pendenti e/o future richieste di  determinazione dell’equo compenso avanzate nei confronti delle controparte;  giammai, quindi, in via preventiva ed erga omnes, precludendo l’attività futura  dell’Autorità nei confronti di un’intera categoria di utenti, senza che ne ricorrano  le ragioni