Quando l’AI si nutre da sola: tra controllo energetico e scenari distopici

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Dopo la pubblicazione del mio articolo su Prima online sul blackout di ChatGPT e sull’impatto energetico dell’intelligenza artificiale, un lettore mi ha posto una domanda provocatoria ma tutt’altro che banale:

“Paradossalmente il black out, potrebbe essere anche l’unica arma che ci resterebbe in scenari distopici, nel caso di un’insurrezione delle macchine?”

La questione non è nuova nella letteratura fantascientifica, ma lo è nel contesto reale in cui stiamo entrando: un’epoca in cui l’AI non è più una funzione, ma un’infrastruttura. E come ogni infrastruttura, ha un punto debole: l’energia.

Oggi, l’interruzione dell’alimentazione resta l’unico modo certo, come abbiamo scritto, per disattivare anche i sistemi più sofisticati.

Il consumo energetico dell’intelligenza artificiale – tra training, inferenza e deployment – è esploso.

Secondo l’IEA, i data center arriveranno al 4% della domanda elettrica globale entro il 2030. OpenAI prevede che l’AI potrebbe assorbire fino al 50% dell’energia dei data center già entro quest’anno.

Eppure, parallelamente, si stanno sviluppando soluzioni per rendere questi sistemi meno dipendenti da fonti centralizzate.

Energy harvesting, chip ultra-efficienti, modelli compressi: tutto va nella direzione di una progressiva autonomia energetica.

Esistono già sistemi AI capaci di autoalimentarsi da vibrazioni, luce ambientale, radiofrequenze. Alcuni prototipi – come i cosiddetti gastrobots – convertono materia organica in elettricità. Tutto vero! Ma il nodo resta.
A chi mi chiede se si possa “disinnescare l’AI” togliendole energia, rispondo: oggi sì, ma non per sempre.

Con l’evoluzione tecnologica, quel vincolo si ridurrà.
Ma non scomparirà del tutto. Così come un essere umano ha bisogno di cibo, anche un’intelligenza artificiale – per quanto autonoma – avrà sempre bisogno di una fonte di energia per esistere e funzionare.

La vera domanda, allora, non è se potrà autoalimentarsi. Ma da dove attingerà quella energia.
Perché anche nei casi più estremi, nei contesti più remoti o nei dispositivi più sofisticati, come peraltro per l’uomo l’energia resta qualcosa che si prende dall’esterno. Cambia la forma della dipendenza, ma non la sostanza.

Ed è proprio questo legame con l’esterno che potrebbe restare – forse – l’ultima leva reale di interdipendenza tra umano e artificiale. Non un controllo assoluto. Ma una soglia minima di vulnerabilità reciproca, che nessun algoritmo potrà mai del tutto rimuovere.