Si allarga il caso che coinvolge l’azienda Israeliana Paragon e il suo software Graphite, con cui sarebbero stati spiati anche diversi giornalisti. Scoppiato nel gennaio scorso quando Meta avvisò una novantina di utenti europei che i loro cellulari erano stati infettati dal potente spyware, aveva visto coinvolti inizialmente i giornalisti di Fanpage, Francesco Cancellato e Ciro Pellegrino, gli attivisti di Mediterranea saving humans, Luca Casarini, Beppe Caccia e don Mattia Ferrari, e un altro reporter che ha chiesto l’anonimato. Ma altri nomi si sono aggiunti alla lista, come quello di Roberto D’Agostino, fondatore di Dagospia. Ma c’è anche Eva Vlaardingerbroek, giovane olandese paladina dell’ultradestra.
Dalla scoperta alle indagini
Nella sua relazione, l’intelligence ha ammesso l’impiego dello spyware su Casarini e Caccia, negando invece il controllo su don Ferrari e Cancellato.
Nel frattempo Paragon ha rescisso i contratti con l’Italia, il Copasir ha deciso nuovi approfondimenti e si sono mosse anche le procure di Roma e Napoli, che stanno indagando dopo le denunce degli spiati, sotto il coordinamento della Procura nazionale antimafia ed antiterrorismo.
Ora i telefonini dei sette ‘spiati’ saranno analizzati dai tecnici nominati dalla procura che dovranno accertare le intrusioni e provare a risalire agli autori. Se per Casarini e Caccia la paternità è stata riconosciuta dall’intelligence nazionale, rimangono gli interrogativi sugli altri 5.
I sette sono parti lese nell’indagine aperta – al momento contro ignoti – per accesso abusivo a sistema informatico e ‘cognizione, interruzione o impedimento illeciti di comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche’. Ordine dei giornalisti e Fnsi, costituitisi nel procedimento, potranno nominare loro consulenti per gli accertamenti, così come Fanpage. L’incarico verrà affidato lunedì.
L’affondo di Paragon
Paragon intanto ha detto la sua, spiegando di aver proposto all’Italia un metodo che consentirebbe di scoprire chi ha inserito lo spyware, ma l’offerta è stata rifiutata. “Perché era inaccettabile, non conforme alle esigenze di sicurezza nazionali”, la replica del Dis.
E più recentemente ha rincarato la dose, affermando di aver “interrotto i suoi rapporti commerciali con l’Italia a seguito di sospetti di un uso improprio che eccedeva le condizioni d’uso definite nel contratto con la società”, raccomandandosi “di rivolgere qualsiasi domanda in merito alla presunta sorveglianza di giornalisti italiani al governo italiano, in quanto è l’autorità sovrana del Paese e responsabile di garantire il rispetto della legge”.
“La rigorosa politica di selezione dei clienti dell’azienda non esonera i clienti dalla piena responsabilità di utilizzare la tecnologia in modo appropriato, in conformità con le leggi locali e le condizioni d’uso definite sia dall’azienda che dal Ministero della Difesa israeliano”, ha proseguito nel suo commento l’azienda.
“Se vi è il sospetto che un cliente abbia superato i limiti consentiti dalla legge e dall’accordo con la società e non si assuma la responsabilità e non ponga rimedio al danno, la società cessa tutti i rapporti commerciali con tale cliente”, ha concluso.
Intanto torna ad attaccare anche l’opposizione. Il leader di Iv, Matteo Renzi, parla di “Watergate italiano”: “se anche Dagospia è stata spiata e il Governo italiano continua a far finta di nulla, siamo in presenza di un fatto gravissimo. Nelle democrazie non si spiano i giornalisti”. Sulla stessa linea Debora Serracchiani e Stefano Graziano (Pd): “la presidente Meloni e il sottosegretario Mantovano non possono più tacere. Se i servizi segreti italiani continuano a sostenere la loro estraneità nell’intercettare i giornalisti, il Governo deve dirci chi è stato”. Secondo Nicola Fratoianni (Avs): “la vicenda mette seriamente in discussione la tenuta della nostra democrazia”.