La partita dell’intelligenza artificiale si sta decidendo ora, con Stati Uniti e Cina protagonisti di strategie aggressive e coordinate. L’Europa, invece, si ritrova impigliata tra investimenti frammentati e una regolamentazione rigida, come sottolineato dal rapporto Draghi del settembre 2024 e ribadito venerdi al Meeting di Rimini. L’Europa rischia così di essere spettatrice della rivoluzione che cambierà l’economia globale.
La scommessa americana: investimenti e velocità
Il modello regolatorio degli Stati Uniti resta “light-touch”, senza un framework federale unico sull’AI, lasciando libera iniziativa a stati e agenzie. Nel 2025 la nuova amministrazione ha annunciato piani e executive orders volti a rafforzare infrastrutture (data center), esportazioni e criteri di affidabilità per i sistemi di intelligenza artificiale.
Sul fronte privato, i colossi tecnologici stanno destinando risorse imponenti. Secondo analisi di settore, i principali player americani hanno annunciato piani di investimento pluriennali da decine di miliardi di dollari: Microsoft, Google, Meta, Apple e Nvidia puntano con forza su modelli di AI generativa, cloud e chip specializzati.
Questi ingenti investimenti, uniti a un contesto regolatorio snello e alla sperimentazione di sandbox regolatorie in diversi stati, favoriscono una crescita rapida e una leadership tecnologica avanzata.
La strategia cinese: massa critica e leadership industriale
La Cina ha consolidato negli ultimi anni una posizione di primo piano nello sviluppo dell’AI. Secondo varie stime internazionali, contribuisce ormai con una quota significativa – in alcuni report vicina al 40% – dei modelli globali. Solo nel 2024, gli investimenti pubblici e privati hanno superato i 60 miliardi di dollari, con un’accelerazione decisa nella produzione di chip dedicati e nello sviluppo di grandi modelli linguistici (LLM).
Anche sul fronte brevettuale i dati sono eloquenti: la Cina deposita ogni anno un numero di brevetti AI di gran lunga superiore a quello statunitense, in alcune stime oltre quattro volte tanto. Questo riflette una strategia industriale integrata, coordinata dallo Stato che guida università, centri di ricerca e imprese, con una forte proiezione geopolitica legata al controllo delle filiere tecnologiche.
L’Europa secondo Draghi: la necessità di un cambio di passo digitale
Nel rapporto del settembre 2024, Draghi evidenziava che le imprese europee adottano le tecnologie digitali e AI a ritmi sostenuti, ma «la frammentazione degli investimenti e l’eterogeneità delle normative costituiscono un freno alla leadership europea».
Al Meeting di Rimini 2025 Draghi ha rimarcato questa analisi dichiarando:
«Le imprese europee stanno investendo nell’AI, ma la mancanza di una strategia digitale unitaria e le duplicazioni normative rallentano la capacità di scala e competitività della nostra industria digitale».
E ha sottolineato che occorrono:
«Politiche integrate per favorire la standardizzazione, strumenti finanziari comuni e una governance che sappia unire le forze senza disperdere risorse».
Pur riconoscendo i vantaggi dell’AI Act in termini di tutela, Draghi ha segnalato che molte imprese europee e stakeholder temono che un eccesso di regolamentazione possa frenare la crescita e provocare la migrazione di talenti e capitali verso ecosistemi meno restrittivi.
La lezione pragmatica
La competizione globale sull’intelligenza artificiale evidenzia un dato chiaro: vince chi combina visione strategica, investimenti strutturati e agilità decisionale.
• Gli USA assicurano investimenti miliardari e un ambiente normativo flessibile.
• La Cina punta su un coordinamento straordinario e su una massa critica senza precedenti.
• L’Europa rischia invece di frammentarsi tra regolamenti e investimenti parcellizzati.
Il cambio di passo indicato da Draghi, più che una raccomandazione, è una necessità urgente. La partita sull’AI si gioca oggi, e chi non agisce in fretta rischia di rimanere ai margini per molto tempo.
Mario Draghi – foto Meeting 2025