Monte dei Paschi perfeziona l’acquisizione del 62,3% di Mediobanca

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Un comunicato del 15 settembre di Banca Monte dei Paschi di Siena (BMPS) certifica l’acquisizione del 62,3% di Mediobanca a seguito del regolamento delle azioni portate in adesione all’offerta pubblica di acquisto e scambio volontaria (Opas).

Con il pagamento del corrispettivo previsto, BMPS ha acquisito la proprietà delle azioni Mediobanca, libere da vincoli di qualsiasi natura. L’operazione ha determinato la variazione del capitale sociale dell’istituto senese, sottoscritto e versato a seguito dell’aumento deliberato dal CdA del 26 giugno 2025 in esecuzione della delega conferita dall’assemblea straordinaria del 17 aprile 2025.

Al termine del periodo di adesione, concluso l’8 settembre scorso, erano state conferite in adesione all’Opas 506.633.074 azioni ordinarie di Mediobanca.
Per dare seguito all’operazione, BMPS ha emesso 1.283.301.577 nuove azioni ordinarie prive di valore nominale, con godimento regolare e le stesse caratteristiche di quelle già in circolazione.
L’attestazione dell’aumento di capitale è stata depositata presso il Registro delle Imprese di Arezzo-
Siena ai sensi dell’articolo 2444 del Codice Civile.

Così Luigi Lovaglio, ad di Banca Monte dei Paschi di Siena (BMPS) ha vinto la battaglia formale, ma non è detto che la partita sia chiusa.

Successo dell’Opas

Mps ha portato a casa il 62,3% di Mediobanca, superando ampiamente la soglia minima e diventando azionista di controllo. Si tratta di un risultato che pochi, all’inizio, ritenevano possibile, vista la tradizione di Mediobanca come “fortino” difficile da scalare.
Ma la governance resta da scrivere: il vero banco di prova sarà il consiglio di amministrazione di Mediobanca che verrà nominato nei prossimi mesi.
Lovaglio dovrà mostrare di saper gestire una compagine complessa, in cui entreranno inevitabilmente anche figure indipendenti e di garanzia.

Il ruolo del Mef

Non va dimenticato che il Tesoro, tramite la quota in Mps, ha un’influenza indiretta su Mediobanca. Questo apre scenari politici e mediatici delicati, soprattutto per gli asset editoriali collegati (quota RCS, influenza su Corriere e La7).

Sfida di lungo periodo

La vittoria odierna è numerica. Ma Lovaglio sarà giudicato sulla capacità di
trasformare Mediobanca in una leva strategica per Mps, e di non trasformare l’operazione in una
zavorra regolatoria e politica.
Avremo tempo e luogo per testimoniare cosa succederà nei prossimi mesi.

Il ritratto dell’uomo che ha ribaltato la finanza italiana

Insomma Lovaglio ha vinto la battaglia, ma la guerra sulla nuova identità di Mediobanca è
appena iniziata. Con il successo dell’Opas, che ha portato Mps a detenere il 62,3% di Mediobanca, Lovaglio entra nella storia come il banchiere che è riuscito a scalare la roccaforte di Piazzetta Cuccia. Un vittoria che cambia gli equilibri del sistema finanziario italiano e che segna il punto più alto della carriera di un manager abituato a muoversi lontano dai riflettori.

Per raccontare chi è davvero l’uomo che ha sfidato Mediobanca e ha vinto, ripubblichiamo il ritratto
uscito sul numero di luglio-agosto di Prima Comunicazione.
Dal trasferimento da bambino da Potenza a Bologna con la famiglia, ai primi passi al Credito Italiano, dalla lunga esperienza in Europa dell’Est al risanamento di Creval, fino alla chiamata di Draghi per guidare Montepaschi.
Una storia di rigore, understatement e coraggio che oggi trova la sua consacrazione.

L’AUDACE di Alessandra Ravetta

Dire che Luigi Lovaglio è una persona riservata, un manager che predilige l’understatement, è quasi riduttivo. La sua è una scelta di campo: apparire solo quanto necessario per il suo ruolo di banchiere, raccontando lo stretto indispensabile dei risultati ottenuti e lasciando fuori dalla scena pubblica ogni dettaglio della sua vita privata. Una strategia consapevole, che però ha un prezzo: l’assenza di una narrazione costruita su di lui rischia di trasformarsi in terreno fertile per fake news, veleni e pregiudizi, soprattutto oggi che Lovaglio, amministratore delegato di Mps, con la sua sfida frontale a Mediobanca, si è attirato l’inimicizia di molti.

Chi lo conosce lo descrive come un professionista che rifugge le luci della ribalta. Eppure il suo nome, negli ultimi mesi, è entrato prepotentemente nel sancta sanctorum della finanza italiana: quella Mediobanca che, ai tempi di Enrico Cuccia, si pronunciava quasi sottovoce, e che oggi Lovaglio ha avuto il coraggio di sfidare con un’ops, andando a cercare personalmente il consenso dei grandi fondi internazionali a New York e a Londra, senza appoggi nei salotti che contano.
Non frequento gli ambienti finanziari – né ho intenzione di farlo – ma seguo da anni le dinamiche del potere economico, convinta che siano mondi contigui, se non intrecciati, con quello dei media.

È una storia che Prima Comunicazione racconta fin dai suoi primi numeri, dai dossier su Eugenio Cefis al ruolo dei grandi commis che finanziavano la stampa borghese mentre, come ricordava Gianni Cervetti, il Partito comunista russo sovvenzionava L’Unità. Quei tempi sono finiti, ma il rapporto tra poteri economici e informazione è più che mai vivo. Basterebbe citare l’inaspettato tentativo di Francesco Gaetano Caltagirone di ‘mettere la mordacchia’ a Paolo Panerai acquistando il 5% di Class Editori, senza riuscire nell’intento.

È in questo contesto che la figura di Lovaglio ha iniziato a incuriosirmi: un banchiere ‘invisibile’ che stava dimostrando il coraggio di un leone nel misurarsi con Mediobanca. Un personaggio anomalo, per certi versi. Un manager con un curriculum da primo della classe, fatto di successi in Italia e all’estero, ma privo di quell’aura di protezione che accompagna molti grandi nomi del capitalismo italiano.
Così ho deciso di andare oltre le scarne informazioni reperibili online e nei comunicati ufficiali. Ho guardato i pochi video dei suoi interventi pubblici, letto i report delle banche in cui ha lavorato e le analisi degli osservatori finanziari. Poi ho raccolto testimonianze dirette di chi lo conosce e, grazie all’intermediazione di un’amica comune, sono riuscita a incontrarlo di persona. Non un’intervista formale, ma una chiacchierata attenta e misurata. Da quell’incontro, e dalle verifiche che ho fatto in seguito, nasce questo ritratto: il tentativo di raccontare Luigi Lovaglio oltre i numeri e i silenzi, per restituire un’immagine più vera di uno dei manager che oggi hanno in mano il futuro del sistema bancario italiano.

Breve storia di Luigi Lovaglio

La decisione di partire fu di sua madre, donna ingegnosa e determinata. “Qui non c’è più niente da fare”, disse, e così la famiglia – cinque fratelli in tutto – lasciò Potenza per trasferirsi a Bologna, in cerca di nuove opportunità.
Il ricordo di quel trasloco è rimasto vivido nella memoria di Luigi Lovaglio. Così come le difficoltà dei primi giorni, quando a suo padre non volevano affittare un appartamento per via dei cinque figli.

Il primo contatto con la scuola fu precoce e fortuito. A Potenza, dove i genitori gestivano un chiosco di bibite in un parco, una maestra notò il bambino che non frequentava l’asilo e chiese spiegazioni. “Non vuole andarci”, rispose la madre. La donna ebbe un’intuizione: “Allora, a ottobre vieni a scuola da me”. Così, a soli cinque anni – compiuti in agosto – iniziò la prima elementare.
Durò poco: dopo un paio di mesi, i genitori degli altri alunni protestarono perché “troppo piccolo per stare in classe”. Il sogno si interruppe, ma la madre non si arrese. Trovò un’altra strada: preparare il figlio da privatista. Lo mise davanti alla televisione a seguire con costanza ‘Non è mai troppo tardi’, il celebre programma di alfabetizzazione del maestro Alberto Manzi. “Lì imparai a leggere e scrivere”, racconterà poi Lovaglio. Alla fine sostenne l’esame e fu ammesso direttamente in seconda elementare. A sei anni, nessuno aveva più nulla da ridire.
Il resto del percorso scolastico si svolse a Bologna, comprese le superiori e l’università, in un clima segnato dalle occupazioni, dalle manifestazioni e dai grandi movimenti studenteschi. Lovaglio partecipava anche lui, ma – come dirà con un sorriso – “con un po’ di grano salis”.
Un incontro decisivo avvenne negli anni del liceo: quello con Gianni Scalia, professore di italiano, intellettuale raffinato e amico di Pasolini. Scalia intuì il potenziale del ragazzo, il più giovane della classe, e lo prese sotto la sua ala. Lo portava con sé in libreria, riempiva sacchetti di libri e gliene regalava sempre uno: “Questo è per te”, diceva. Fu lui a spingerlo a guardare il mondo con occhi diversi e a cimentarsi nelle prime ricerche, come quella tesina dal titolo ‘La cultura come elemento del cambiamento sociale’.

A 18 anni, Luigi Lovaglio iniziò subito a lavorare in banca, al Credito Italiano, mentre continuava l’università. Il primo impiego fu nell’ufficio cassa assegni, dove si occupava del back office e cominciò a introdurre piccoli sistemi per velocizzare i processi. Un salto di carriera lo portò all’ufficio estero, per le segnalazioni valutarie, poi la prima vera prova da funzionario nella sede di Rimini.
Il vero cambio di passo arrivò nel 1989 con la nomina, compiuti 34 anni, a direttore di filiale a Cremona. “Una bella rivoluzione”, dirà lui, per il contatto con i potentati cittadini: il presidente della Camera di commercio, il sindaco, il cardinale, il rappresentante della Banca d’Italia. Due anni dopo, la rotazione obbligatoria lo portò a Thiene, in provincia di Vicenza, e nel 1994 alla guida dell’area Abruzzo-Molise, con sedi da Termoli a San Salvo fino a L’Aquila. “Bellissimo territorio”, ricorderà. Nel 1996 fu il turno della capitale, dove divenne capo dell’area Roma Parioli.
Nel 1997 la svolta: una telefonata per un colloquio in Direzione generale nella sede di Milano. Lo incontrò Roberto Nicastro, giovanissimo braccio destro dell’amministratore delegato Alessandro Profumo, che gli propose di entrare nella pianificazione strategica del Credito Italiano. “Ci serve qualcuno che faccia il budget di gruppo introducendo nuove metriche”, gli disse. Un ruolo da chief economist senza essere chief economist. Lovaglio accettò. Erano gli anni in cui Profumo e Nicastro avevano “messo il turbo” al Credito Italiano, aprendo la stagione di fusioni e acquisizioni che avrebbe dato vita al gruppo UniCredit.

Da lì, il decollo: nel 1997 capo del dipartimento Strategia e pianificazione del Credito Italiano, partecipando al processo di fusione delle banche neo-acquisite. Nel 1999 capo della Pianificazione di gruppo banche estere e cofondatore della divisione Nuova Europa, per lo sviluppo del gruppo in Europa centrale e orientale, incarico che lo porterà ad andare sul campo in Bulgaria a gestire, come presidente e direttore esecutivo di Bulbank, la più grande banca di Stato di un Paese che risentiva ancora dell’influenza del legame con l’Unione Sovietica, e che durerà fino alla caduta del comunismo nel 1989. “Quando si passavano i controlli di dogana in aeroporto, c’erano sempre guardie armate dall’aria minacciosa e sospettosa che ti sottoponevano a controlli. Poi a forza di vedermi andare avanti e indietro, essendo spesso in viaggio per Milano, si sono abituati e tranquillizzati. Ma il lavoro funzionava benissimo soprattutto grazie a dipendenti con una forte cultura di base e un grande spirito organizzativo”.
Più europeo lo stile in Polonia, dove Lovaglio ebbe lunghe permanenze per costruire il fenomeno di Bank Pekao: iniziando nel 2003 come direttore generale e vice presidente e poi presidente e ceo, per guidare la fusione con Bph, terza banca polacca, e costruire una realtà da oltre 10 miliardi di capitalizzazione. Sotto la sua guida Pekao, con i suoi 15mila dipendenti, diventa la prima società del Paese in termini di capitalizzazione di mercato ottenendo in modo continuativo e sostenibile, importanti risultati, e rafforzando nel contempo la sua solidità patrimoniale a un livello tra i più elevati in Polonia. “La sua focalizzazione su ritorni sostenibili di lungo periodo e sugli aspetti etici ha portato anche alla decisione di non offrire i mutui ipotecari in franchi svizzeri ai clienti retail, evitando alla Banca gli enormi problemi che successivamente hanno coinvolto l’intero sistema bancario polacco”, è documentato nelle pagine web di Pekao.
Ma più che i successi economici della Polonia, Lovaglio ricorda i rapporti con le persone, le esperienze umane e calorose. “Collaboratori colti, tutti laureati, precisi e umanamente piacevoli.
Appassionati di musica classica, e dei fiori che fanno della Polonia un giardino. Usi a passare il tempo libero a chiacchierare davanti a un caffè imbevibile”. Un’umanità con cui forse sentiva di condividere le stesse radici di figli del popolo.
Rende bene il clima la storia della partita di calcio giocata tra la squadra di parlamentari polacchi, capeggiati dal presidente Donald Tusk, e la squadra di dipendenti Pekao. L’idea della sfida con il pallone nasce nel foyer del teatro dell’Opera dove si incontrano per caso Tusk e Lovaglio.
“Parliamo di calcio, passione comune, e nasce l’idea di organizzare una partita. Prima di entrare in campo ho detto ai miei ‘state almeno a due metri dal presidente. Non voglio incidenti diplomatici per un fallo’. Naturalmente l’ordine è stato preso alla lettera e la partita è finita 12 a 2 per i polacchi”, ricorda divertito il banchiere.

Quando nel giugno 2016 Jean Pierre Mustier, diventato ceo di UniCredit, decide di fare piazza pulita di molte partecipazioni italiane ed estere, Pekao con la sua super valorizzazione viene venduta al consorzio pubblico Pzu-Pfr, per cui nel 2017 Lovaglio lascia Varsavia e una banca tra le più solide d’Europa. E chiude la storia di un pezzo della sua vita iniziata in UniCredit nel 1973, quando era poco più che un ragazzino. Tornato in Italia ci mette poco a rimettersi al lavoro, chiamato a salvare il Credito Valtellinese che naviga in cattive acque, prima come presidente e poi come ceo e direttore generale. “Dobbiamo puntare alla leadership nelle nostre zone di riferimento, semplificando la banca, l’operatività, i processi decisionali e l’accesso al credito”, scrive Lovaglio in una lettera ai dipendenti. E infatti tra il 2018 e il 2020 riduce i costi, con la razionalizzazione della rete e il taglio dei costi operativi, tramite chiusure selettive di filiali, passando dal rafforzamento del modello rinnovato: maggiore efficienza, nuovi sistemi di controllo e sostenibilità. E così ritorna agli utili. Il risanamento di Creval porta all’opa di Crédit Agricole Italia, che nel 2021 ne assume il controllo con un esborso di circa 1 miliardo di dollari.
Quando Lovaglio lascia l’incarico scrive un’altra lettera ai dipendenti, che rivela molto dello stile che gli porta tanto consenso: “Oggi è il mio ultimo giorno in Creval, ma le sue Persone resteranno sempre nella mia mente e nel mio cuore. È stato un lungo ‘viaggio’ che mi ha arricchito giorno dopo giorno, grazie a voi. Abbiamo fatto insieme un ottimo lavoro, realizzato quello che ci eravamo ripromessi, anche prima del previsto. È stato il frutto dell’intenso impegno, della dedizione e della perseveranza che avete ogni giorno riservato alla Banca e ai nostri Clienti, in modo ancora più generoso nel periodo buio della pandemia. Non ho mai dubitato che ce l’avremmo fatta. Ero sicuro di avere la squadra giusta, che stavamo andando nella giusta direzione e che anche se il vento soffiava forte eravamo saldamente ancorati ai nostri valori.
Vi ringrazio per tutto questo, per il calore che mi avete fatto sentire, per il rispetto e la fiducia che mi avete dimostrato. Avete davanti a voi un nuovo periodo di soddisfazioni da cogliere, ne sono certo. Continuate così.
‘Non c’è passione nel vivere in piccolo, nel progettare una vita che è inferiore alla vita che potresti vivere’, diceva Nelson Mandela. Questo è l’invito che vi vorrei lasciare. Io ho provato a seguirlo in tutti questi anni, nei diversi Paesi e con le migliaia di persone di differenti nazionalità con le quali ho lavorato. E anche grazie a questo ho avuto la fortuna di conoscere Voi. Vorrei potervi stringere tutti in un forte abbraccio”.

Soprannominato “il banchiere delle emergenze”, chi se non Lovaglio poteva essere il candidato del governo Draghi per risanare e rilanciare il Monte dei Paschi di Siena, dove viene chiamato nel febbraio 2022, dal ministro dell’Economia e delle finanze Daniele Franco e dal direttore generale del Tesoro Alessandro Rivera, essendo il Tesoro dal 2017 il primo azionista di Mps, per avviare una nuova azione di risanamento con l’uscita dello Stato dal capitale della banca.
Nell’ottobre 2022 il ceo Luigi Lovaglio lancia un aumento di capitale da 2,5 miliardi per finanziare esodi e ridurre costi. Dopo una perdita da 178 milioni nel 2022, Mps registra un utile di oltre 2 miliardi nel 2023. A maggio 2024 distribuisce il primo dividendo: 315 milioni dopo 13 anni.
Seguono ulteriori cessioni da parte del Mef con l’ultima nel novembre 2024 quando entrano nel capitale della banca Banco Bpm (5%), Anima (4%), il gruppo Caltagirone (3,5%) e Delfin (3,5%) della famiglia Del Vecchio. Caltagirone e Delfin acquistano successivamente sul mercato ulteriori quote, portando la loro partecipazione vicina al 10% del Montepaschi, entrambi azionisti importanti di Mediobanca.

Nel gennaio 2025 Mps lancia un’offerta pubblica per acquisire Mediobanca per circa 13,3 miliardi, operazione respinta da Mediobanca e considerata ostile. E la guerra scatenata dalla mossa di Lovaglio ha incendiato il sistema bancario e finanziario italiano, e anche quello del mondo dell’informazione.
Ma è altrettanto straordinario l’impegno che mette l’ad Lovaglio nel comunicare le sue strategie di sviluppo per Mps e soprattutto l’obbiettivo dell’ops, attraverso tutti i canali disponibili. Anche il canale LinkedIn di Montepaschi riporta le numerose presenze e interviste dove non smette mai di dire che Mps ha un valore inestimabile, il consolidamento è inevitabile”, con quel tono sempre sorridente e sicuro del fatto suo. Sicuramente molto convincente per tutti i possibili azionisti, chiamati a aderire all’ops.

La rinascita di Mps, dopo oltre un decennio segnato da scandali finanziari e un salvataggio pubblico senza precedenti, ha assunto anche un valore simbolico per la città di Siena e per la Toscana. Non è solo un’operazione bancaria: per la comunità senese, Monte dei Paschi è un pezzo di storia: una banca di oltre 500 anni – la più antica del mondo ancora in attività – nata per sostenere lo sviluppo del territorio e la sua rete sociale.
La tifoseria ‘senese’ e toscana (in senso largo: ex dipendenti, piccoli azionisti, cittadini) ha vissuto il crollo di Mps come un trauma collettivo. Oggi, con i conti tornati in utile, il ritorno al dividendo e le prospettive di crescita, questa stessa comunità ritrova l’orgoglio di appartenere a un marchio storico, che torna a essere simbolo di solidità e di radicamento territoriale.
È un tema che il management stesso – soprattutto l’ad Luigi Lovaglio – ha valorizzato nei suoi discorsi: la rinascita di Mps non è solo economica, ma culturale e identitaria, e il legame con il territorio resta un asset strategico.