Paradossale inasprire le pene contro i giornalisti che pubblicano intercettazioni quando queste sono pubbliche, una censura in piena regola”. Ad affermarlo è il presidente dell’Ordine dei giornalisti Carlo Bartoli, intervenendo in Commissione Giustizia al Senato nell’ambito dell’indagine conoscitiva sull’uso e le pubblicazioni delle intercettazioni.
No a ulteriori limitazioni
“Come giornalisti ci auguriamo che il Parlamento non voglia restringere ulteriormente l’accesso alle informazioni necessarie per informare l’opinione pubblica”, ha detto.
“Introdurre ulteriori limitazioni alla conoscibilità di atti che sono comunque sono pubblici e già “filtrati” o comunque depurati da elementi non rilevanti vorrebbe dire sottrarre informazioni preziose per ricostruire vicende di importanza pubblica anche rilevante”.
“Per fare solo qualche esempio, pensiamo al rilievo per l’opinione pubblica delle intercettazioni nell’inchiesta relativa al crollo del ponte Morandi di Genova, oppure le conversazioni registrate durante il terremoto dell’Aquila. O, ancora, le intercettazioni rese pubbliche sui colloqui dei mafiosi coinvolti nelle stragi di Falcone e Borsellino? Sarebbe ben difficile spiegare ai cittadini per quale motivo, su casi di tale rilievo, possa essere imposto il totale silenzio, una sorta di censura”, ha sottolineato.
“Mentre la stampa internazionale sugli stessi casi potrebbe liberamente continuare a dare notizia di intercettazioni di rilevante interesse pubblico, come sancito dalla costante giurisprudenza delle Ced”, ha rilevato.
Bartoli: serve Giurì dell’informazione
“Le indicazioni del Garante convergono sostanzialmente con quanto stabilito dal Testo unico della deontologia, in base al quale i giornalisti si fanno carico della responsabilità di valutare attentamente ciò che pubblicano e prestano attenzione al rispetto della dignità della persona (tra cui presunzione d’innocenza e diritto all’oblio) cercando sempre il giusto equilibrio con il diritto dei cittadini di essere informati”, ha ricordato ancora Bartoli. “Tutti principi di rango costituzionale”.
“Ovviamente – ha proseguito – questo non significa che i giornalisti non possano commettere errori. Sicuramente in passato si sono verificati eccessi, ma comportamenti di questo tipo sono quasi del tutto scomparsi, avendo ormai disponibili solo gli stralci di intercettazioni già selezionati come ‘di interesse pubblico’”.
La lentezza sulle sanzioni
“Faccio presente che, in ogni caso, si sono avuti interventi disciplinari da parte dell’Ordine sul tema in oggetto e mi permetto di ricordare quanto ho avuto l’onore di esporre alla presidente del Consiglio nel corso della conferenza stampa di fine anno: la professione giornalistica ha bisogno di norme aggiornate, tra cui quelli inerenti la disciplina. Anche per un semplice avvertimento, la sanzione più lieve, si può ricorrere in cinque gradi di giudizio e vige un sostanziale divieto a dare pubblicità alle sanzioni. La lentezza e l’impossibilità di rendere note le sanzioni depotenziano pesantemente l’efficacia delle sanzioni”, ha osservato ancora Bartoli.
E “voglio ricordare anche che in più di un’occasione abbiamo chiesto al Parlamento l’istituzione di un ‘Giurì per l’informazione’ che nei casi più gravi possa intervenire con immediatezza, senza attendere i tempi lunghi dei procedimenti disciplinari, per bloccare la diffusione ingiustificata o scorretta di notizie”.
Bartoli ha richiamato anche come “la Corte Costituzionale abbia già dichiarato illegittime le norme sul carcere per il reato di diffamazione a mezzo stampa con la sentenza del 12 luglio del 2021”.
“Le istituzioni europee – ha sottolineato in chiusura – hanno da alcuni anni posto sotto osservazione lo Stato italiano per l’eccesso di querele bavaglio contro i giornalisti. Sarebbe paradossale inasprire le pene contro i giornalisti che pubblicano intercettazioni che sono atti pubblici. Sarebbe una censura in piena regola”.