Il grande divorzio

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I partiti e il mondo del lavoro dimenticato

LOBBY D’AUTORE – Prima Comunicazione, Aprile-Maggio 2025

Hanno i salari più bassi d’Europa, una tassazione tra le più alte del Vecchio continente e uno dei sistemi previdenziali meno generosi. Nonostante rappresentino una ‘forza’ politica e contrattuale senza paragoni, annoverando oltre 24 milioni di italiani, i lavoratori dipendenti sono di gran lunga la categoria più penalizzata nel nostro Paese. Senza che nessuno abbia la voglia e la capacità di rappresentarli davvero sulla scena politica.

Una delle ‘sentenze’ più recenti e crude è contenuta nei dati pubblicati a fine marzo dall’Organizza­zione internazionale del lavoro (Ilo, International Labour Organization), secondo cui l’Italia è il Paese del G20 dove i salari hanno subito la più forte perdita di potere d’acquisto dal 2008 a oggi: –8,7%. Nello stesso periodo, in Francia c’è stato un aumento di circa il 5%, in Germania di quasi il 15%. Ma bisogna evitare di fare di tutta l’erba un fascio, mettendo ‘sotto accusa’ un intero sistema produttivo. Leggendo con attenzione i dati dell’Ilo si scopre infatti che la riduzione del potere d’acquisto riguarda i lavoratori dei servizi, mentre nella manifattura il potere d’acquisto è cresciuto: nel 2024 i salari reali nei servizi sono del 10% sotto il livello del 1995, al contrario nella manifattura sono sopra del 10%.

Di conseguenza, non ha senso denunciare indistintamente la presunta ‘cattiveria’ degli imprenditori italiani che sarebbero dediti solo ad accumulare utili. O accusare l’attuale governo di non occuparsi delle retribuzioni dei lavoratori, come pure si sente ripetere (perfino da autorevoli commentatori) in molti talk televisivi, nonostante abbia fatto ciò che poteva: un taglio del cuneo fiscale, limitato dai vincoli di bilancio europei.

Ciò che funziona male in Italia è l’ampio settore dei servizi, a causa del basso livello medio di concorrenza e della bassa produttività, del nanismo della struttura produttiva e degli inadeguati investimenti in tecnologia e formazione. Molti limiti mostra anche il funzionamento del sistema contrattuale, l’unico ‘responsabile’ nel mondo privato del livello delle retribuzioni: nonostante i contratti coprano in Italia la quasi totalità dei lavoratori, denunciano i ricercatori dell’Ilo, il loro rinnovo negli ultimi tre anni non è stato in grado di difendere i salari dal rush dell’inflazione.

Non è facile, oggi in Italia, la condizione dei lavoratori dipendenti. Sostanzialmente indifesi, senza rappresentanza e senza capacità di ‘lobbying’. Per dimostrarlo basta porsi la fatidica domanda: esiste oggi in Italia (tra i soggetti politici rilevanti) un partito laburista, un partito del lavoro o un partito dei lavoratori? No. Non esiste né nel nome, né nella sostanza. Ma almeno esistono – come second best – partiti che fanno del lavoro il loro principale terreno di analisi, di proposta e di azione? No, negativo. Perché negli ultimi decenni si è verificato un divorzio clamoroso e inspiegabile tra il lavoro e i partiti italiani (lungo l’intero arco parlamentare): non lo studiano più al loro interno, come era inevitabile con il tramonto dei mitici ‘funzionari di partito’, né mediante supporti accademici esterni. E frequentano troppo poco il mondo del lavoro: salvo qualche capannello fuori dai cancelli di aziende in crisi, organizzato a uso e consumo di tg e talk, non si ‘usano’ più visite, incontri, focus organizzati dai leader o dai responsabili di settore dei partiti all’interno dei luoghi più interessanti del lavoro contemporaneo.

Un giorno qualcuno analizzerà e interpreterà le ragioni di questo clamoroso divorzio. Nell’attesa ne registriamo gli effetti, tra cui il progressivo declino del tasso di partecipazione al voto degli italiani. Il campanello d’allarme peggiore, per la nostra politica.