Pmi: crescere, crescere, crescere

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Le ‘3 s’ delle piccole imprese che vogliono diventare grandi

LOBBY D’AUTORE – Prima Comunicazione, Luglio-Agosto 2025

Al giorno d’oggi soffriamo di un’idolatria quasi universale per il gigantismo. Perciò è necessario insistere sulle virtù della piccola dimensione, almeno dovunque essa sia applicabile”, scriveva l’economista e filosofo Ernst Friedrich Schumacher nel 1973. Dopo più di 50 anni l’elogio della “piccola dimensione” potrebbe raccontare bene il sistema imprenditoriale italiano che, dati alla mano, si è dimostrato negli ultimi 15 anni più flessibile, resiliente e competitivo dei sistemi fondati sulle grandi imprese, come quelli tedesco e francese. Ma oggi i dazi al 15% imposti da Trump pongono una nazione esportatrice come l’Italia al centro di un potenziale uragano economico. Dopo l’intesa di fine luglio, le nuove tariffe colpiranno imprese d’ogni dimensione. A subire gli effetti più nefasti saranno tuttavia le pmi inserite nelle filiere che costituiscono la spina dorsale del made in Italy: dall’agroalimentare alla meccanica, dalla componentistica per l’automotive all’occhialeria, fino alla farmaceutica e all’elettronica. Troppo grandi per rinunciare (dall’oggi al domani) al ricco mercato americano, ma troppo piccole per poter aggirare i dazi spostando la loro produzione negli States, o per sostituire rapidamente gli Usa con altri mercati di sbocco. Di questo ‘spiazzamento delle Pmi’ il governo dovrà tener conto, in modo specifico, nei provvedimenti che deciderà di adottare a supporto delle nostre imprese nel worst case.

Dazi a parte, possiamo ancora affermare oggi che ‘piccolo è bello’? In realtà, c’è piccola impresa e piccola impresa. Perché vince sui mercati chi – nonostante le dimensioni contenute – riesce a mettere in campo mentalità e cultura da grande impresa. Lo dimostrano i dati più recenti di Unioncamere: nel 2012 le imprese con meno di 49 dipendenti producevano in Italia il 49% del fatturato, mentre nel 2022 il valore era sceso al 42%. Nello stesso periodo le grandi imprese sono passate dal 32% al 37%. Questo spostamento del valore ‘dalle piccole alle grandi’ indica chiaramente la direzione di marcia per le pmi italiane: crescere, crescere, crescere.  

Per farlo le piccole imprese italiane sono chiamate ad affrontare tre rivoluzioni. Potremmo definirle le ‘3 S’ del Duemila: S come Social media, S come Social nello schema Esg, S come Smartness.

La prima rivoluzione – quella del web e dei social media – ha avuto finora effetti positivi rispetto alle pmi, ‘democratizzando’ l’accesso delle imprese al mondo della comunicazione. Infatti, se nel mondo della carta stampata (e a maggior ragione della tv e della radio), i costi per l’acquisto degli spazi pubblicitari e per la produzione dei contenuti erano semplicemente proibitivi per le piccole imprese, che ne rimanevano tagliate fuori, nell’era dei new media ogni impresa può avere la sua vetrina digitale a costi compatibili con le proprie finanze. Con un dettaglio, però, spesso trascurato: su social e web ha acquisito un’importanza decisiva per la reputazione di un’azienda in qualsiasi settore il giudizio delle ‘terze parti’, ovvero clienti, sindacati, stakeholder, istituzioni locali. Quanta consapevolezza c’è della questione? E quante piccole imprese riescono a gestirla in modo efficace?

La seconda S è quella centrale nello schema Esg: in questa fase storica il fattore ‘Sociale’ è diventato probabilmente più rilevante rispetto a quello Ambiente (che è stato preponderante invece nel primo tempo della rivoluzione sostenibile) e alla Governance. Ciò impone oggi, anche alle Pmi, di inserire stabilmente nelle strategie aziendali gli investimenti sul territorio e sulle comunità locali, e ancor di più una gestione ‘sostenibile’ delle risorse umane.  

La terza S è il nuovo approccio necessario nella costruzione dei modelli organizzativi, che definisco ‘Smartness’: capacità di comprensione di un contesto economico che cambia ogni mese, flessibilità organizzativa estrema, re-invenzione continua del business. Non facile sul piano culturale e operativo, ma vitale per consentire alle nostre piccole imprese di rimanere sul mercato.
E diventare più grandi e più ‘belle’.